don Enrico Finotti
Il Mistero pasquale è costituito da due pilastri indissociabili e da due movimenti necessari e conseguenti: la Passione e la Risurrezione, la Croce e la Gloria, il Venerdì santo e la Domenica di Pasqua
Oggi assistiamo ad una novella crisi del Mistero pasquale. Uno squilibrio di segno opposto a quello che poteva essere in passato, quando, in certe epoche, l’accento era forse eccessivo sulla dimensione penitenziale-ascetica, come configurazione alla morte del Signore e meno sulla gioia dei risorti. Il Concilio Vaticano II si è proposto una dovuta riscoperta della dimensione pasquale sul versante della vita e del trionfo di Cristo sulla morte e in tal senso ha ispirato i suoi documenti e in particolare la riforma liturgica. Ma questa necessaria accentuazione, spinta in modo estremo, ha provocato una sottolineatura esorbitante sul secondo aspetto del Mistero pasquale a detrimento del primo. Oggi, infatti, si tende verso la Risurrezione senza la Passione, si vuole la Gloria senza passare per la Croce, si celebra la Domenica senza aver celebrato il Venerdì, si accede alla Comunione senza il Digiuno e la Penitenza. Ecco perché una celebrazione pasquale che non prevedesse più l’itinerario penitenziale della Quaresima concretamente praticato, la preparazione ascetica e il prolungato clima di preghiera e di ascolto della Parola di Dio, la conversione e il sacramento della Riconciliazione e, infine, la veglia notturna e l’attesa trepida dell’annunzio della risurrezione, si inserirebbe nel clima critico di un Mistero pasquale decurtato nei suoi elementi costitutivi ed essenziali, per offrire un accesso facile e superficiale alla festa, che, appunto perché raggiunta senza impegno e su deboli basi, scade nel sentimento sterile e passeggero di una ‘Pasqua’ mondana.
Il cardinale Gotfried Danneels affronta l’argomento con lucidità e scrive: “Evangelo significa ‘buona novella’ e Pasqua è la festa della gioia. Siamo chiamati alla gioia e salvati per essere felici. Il cristiano è un uomo che risorge con Cristo. Non c’è però domenica di Pasqua senza il venerdì santo, non c’è Signore risorto senza il Crocifisso. La gioia pasquale non è perciò conquistata a buon mercato. Molti di noi conservano il ricordo di un cristianesimo austero, dai tanti comandamenti e proibizioni. Nel passato, infatti, c’è stato a volte un uso esagerato di penitenza, di rinuncia e di mortificazione. C’erano cristiani dalla ‘devozione dolorosa’. Di là sorge la qualifica di ‘dolorista’ attribuita a questa tendenza. Alcuni arrivavano perfino ad attribuire più importanza al venerdì santo che alla Pasqua. Ma il vento ha cambiato direzione. Sia il Vaticano II che il rinnovamento biblico e liturgico hanno posto al centro il Signore risorto e la gioia di Pasqua. C’è il rischio, però, che perdiamo di vista il venerdì. Non siamo forse sfociati in un cristianesimo ‘euforico’, in cui sono spariti dall’orizzonte la croce, la passione, il sacrificio e la rinuncia? La fede diventa allora una passeggiata primaverile in un campo di tulipani. Si pone una domanda: si tratta ancora del cristianesimo del Signore Gesù morto e risorto? Questa gioia è ancora la sua? Cosa significa una gioia di Pasqua che prescinda dalle sofferenze del Golgota? I cristiani ritornano verso il paganesimo; il Crocifisso è sostituito da una tela di Botticelli e Pasqua equivale pressapoco a ‘La sagra della primavera’ di Igor Stravinsky, uova e pulcini compresi!” (DANNEELS card. GOTFRIED, Non c’è domenica senza venerdì, ed. O.R, MI, 1993, p. 5).