DON ENRICO FINOTTI
L’ ars celebrandi è una questione di amore. Il cuore del sacerdote dev’essere plasmato in modo soprannaturale dalla potenza del Cuore di Gesù, in modo da poter dire con l’Apostolo “non sono più io che vivo, ma Cristo in me”.
Riscoprire il sacerdozio cattolico significa confrontarsi con la dottrina della Chiesa che lo delinea nelle tre potestà, che sono proprie del Signore Gesù e che sono state partecipate in modo sacramentale ai suoi ministri. Il munus docendi, santificandi e gubernandi sono atti soprannaturali che il Risorto continua ad esercitare nella sua Chiesa, attraverso coloro che sono a Lui assimilati, mediante l’Ordine sacro, e che agiscono ‘in persona Christi’.
Essere sacerdoti significa proprio questo esercitare in Cristo il suo medesimo ministero di salvezza: annunziare con la sua autorità il vangelo; celebrare i suoi gesti salvifici nei sacramenti; condurre in Cristo il popolo di Dio verso il Regno.
Nelle catechesi del mercoledì, a conclusione dell’anno sacerdotale, il papa Benedetto XVI ha voluto lasciare quasi in eredità ai sacerdoti il richiamo e il commento ai tria munera, che essi devono comprendere ed esercitare con sempre maggior efficacia. I sacerdoti devono poter raccogliere, come frutto dell’Anno sacerdotale, una rinnovata arte nell’esercizio del loro ministero. Ossia sono chiamati a maturare sempre più nella triplice arte che definisce e qualifica il loro ministero nella Chiesa: nell’ars docendi, annunziando, digne et competenter, la Parola di Dio; nell’ars celebrandi, celebrando il culto divino con somma pietà; nell’ars gubernandi, conducendo con saggezza, nella ‘comunione gerarchica’, il gregge del Signore.
Ed ecco che l’ars celebrandi, in particolare, trova la sua regola fondamentale nel Cuore di Gesù. Come si fa a celebrare bene? Chi può esibire una vera ars celebrandi? A quale modello ispirarsi?
La risposta sta proprio nel Mistero: il sacratissimo Cuore di Gesù. Il Kyrios, immolato e glorioso, che ora sta alla destra del Padre per intercedere continuamente per noi, è l’unico Sommo Sacerdote a cui ispirarsi e il suo Sacrificio pasquale, offerto una volta per sempre nel tempo e reso eterno presso l’altare del cielo, è l’unica liturgia che il Padre gradisce. Ogni vera ars celebrandi deve impersonare quest’unico Liturgo e compiere quest’unico suo Sacrificio. Il fatto che le grandi solennità dell’Anno Liturgico sbocchino nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, indica che il Cuore di Cristo è la sorgente dell’intera opera della nostra redenzione: tutto scaturisce da questa ‘fornace ardente di carità’. È l’amore l’anima e il motore delle diverse fasi del Sacrificio che ci ha redenti: per amore Egli si fece uomo; per amore si immolò sulla croce, fu sepolto, risuscitò e ascese al cielo; dal suo cuore trafitto scaturì per tutto il genere umano lo Spirito Santo che effuse con potenza nella Pentecoste. L’amore è quindi la cifra segreta che configura ogni piega delle parole e degli atti umano-divini del Signore. Egli riflette in ogni espressione del suo essere l’infinita carità della Trinità divina: l’amore del Padre e dello Spirito Santo si rendono visibili e disponibili a noi nel Cuore sacratissimo di Gesù.
Il sacerdote allora celebra bene i riti liturgici se è pervaso dallo stesso amore soprannaturale di Cristo. L’ars celebrandi è una questione di amore. È necessario che il cuore umano del sacerdote sia plasmato in modo soprannaturale dalla potenza del Cuore di Gesù, in modo da poter dire con l’Apostolo ‘non sono più io che vivo, ma Cristo in me’. Senza l’abito infuocato della carità soprannaturale i riti diventano freddi e si apre la via infida o dell’autoinvenzione o del formalismo. Esso, infatti, non è l’osservanza precisa delle norme liturgiche, indispensabile per una celebrazione che voglia essere tale, ma posizione meccanica di riti senza il cuore, nei quali la devozione interiore è assente o insufficiente, la fretta travolge la contemplazione, la solennità è dimenticata, la sacralità è compromessa. Senza il Cuore di Cristo, che arde nel sacerdote celebrante, tutta la ritualità collassa deviando su strade sbagliate: o ponendo riti abitudinari, minimali e senza vita interiore o ricercando un illusorio supplemento di cuore nell’inventare soggettivismi sterili e populistici invocando dal consenso umano ciò che si è perduto nell’unione col Signore.
Il Sacratissimo Cuore di Gesù non è avvolto solo dalla fiamma ardente della sua infinita carità, che esprime i sentimenti che albergano in questo Cuore che ha tanto amato il mondo, ma è al contempo trapassato dalla lancia e circondato di spine. L’immagine ci rimanda al tipo di liturgia che questo Sommo Sacerdote ha celebrato e continuamente celebra: il Sacrificio. Ogni sacerdote è costituito per celebrare sotto i veli sacramentali quell’immolazione sacrificale e gloriosa che il Signore ha compiuto nel suo Mistero pasquale. La sua Morte e Risurrezione sono i due tempi fondamentali del rito liturgico che il Padre continuamente gradisce quale sacrificio di soave profumo.
La vera ars celebrandi allora deve saper introdurre con frutto ministri e fedeli nella partecipazione viva al mistero della morte e risurrezione del Signore. Essere coinvolti in questa immolazione sacrificale è la meta più vera e l’unico obiettivo necessario dell’ars celebrandi. Tutto il resto è corollario che può essere compreso e giustificato nella misura in cui concorre nel modo più proficuo a introdurre misticamente i fedeli in quell’unico Sacrificio, il solo che può aprirci le porte del Regno dei cieli. Ed ecco che nel Sacratissimo Cuore di Gesù il sacerdote trova i sentimenti e le azioni essenziali che lo rendono un perfetto liturgo, affinando sempre più la sua ars celebrandi. Sono i sentimenti e le azioni stesse del Signore Gesù. La carità di Cristo riveste le facoltà spirituali del sacerdote e l’immolazione con Cristo delinea l’azione liturgica che egli compie in modo sacramentale e che deve diventare la sua personale unione mistica con Lui. L’ars celebrandi, allora, mira verso una grande meta: la santità; e i Santi ne sono il modello più vero e insuperabile. Ecco perché i fedeli di tutti i secoli sono attratti e edificati dalla celebrazione mirabile di sacerdoti santi.
Si comprende, infine, come il Cuore rimandi al dono totale, e sia a fondamento della vita verginale del sacerdote. Proprio il contatto con questa ‘fornace ardente di carità’ genera i vergini. Per questo i tria munera che costituiscono il ministero del sacerdote si completano con la sponsalità. Il sacerdote, mediante l’assunzione libera del celibato per il Regno dei cieli, è introdotto nella profonda intimità del Cuore di Gesù e, in Lui diventa, come Lui, Sposo della Chiesa. Mentre esercita l’autorità del Signore per il bene dei fratelli, trasmette insieme la tenerezza sponsale del Cuore di Cristo, che ama la sua Chiesa e per Lei offre la sua vita.
L’ars celebrandi allora contempla qui le sue radici e tutto il resto, previsto dalle leggi liturgiche stabilite dalla Chiesa, troverà una attenta e convinta osservanza proprio perché la mente, il cuore e la volontà del sacerdote saranno fondate nelle profondità soprannaturali del Cuore di Gesù.