a cura della Redazione
24 aprile 2018
La nostra è una chiesa molto bella, ma è sempre invasa da cartelloni e oggetti di ogni genere. Si dice per far partecipare i bambini. Anche i visitatori ci ripetono che tutto questo materiale dovrebbe essere tolto almeno per un certo buon gusto, che rispetti la sacralità e la bellezza della chiesa… (un sacrista)
Nelle nostre abitazioni la gente oggi ha acquisito una spiccata sensibilità nella proprietà degli ambienti e nella disposizione dell’arredo e in genere ama l’ordine e la pulizia. Difficilmente i genitori permettono ai loro bambini di invadere con i loro giochi o disegni le parti nobili della casa. Di solito si tende a creare la stanza dei bambini col disordine tipico della loro vivacità. Ora la Chiesa ha sempre fatto così. Mentre nelle sale dell’oratorio vi erano gli spazi per i vari gruppi personalizzati a seconda dell’età, la chiesa è sempre stata mantenuta con proprietà, decoro e sacralità. E’ curioso che mentre in casa ci si ispira al buon senso, in chiesa sia dimenticata con tanta superficialità ogni regola di buon gusto e di proprietà.
Non si capisce perché le foto dei comunicandi e dei cresimandi o l’itinerario della catechesi o gli eventi del folclore locale debbano essere esibite in chiesa, talvolta in presbiterio e in zona di massima attenzione. Si tratta di distinguere l’ambiente della preghiera e della celebrazione da quello delle altre attività pastorali. Questa invasione di campo innanzitutto lede la bellezza dell’arte, la visibilità e le linee di splendidi altari, lo spazio sacro e la sobrietà e proprietà dei vari settori della chiesa. I fedeli, ma anche i visitatori hanno diritto di pregare e di contemplare la loro chiesa in tutto lo splendore della sua genialità e di gustare il fascino delle opere d’arte in essa contenute in un ambiente che rispetti sia l’oggettiva struttura e monumentalità, sia la sacralità propria di un edificio religioso. Non tutto ciò che è buono e che fa parte di una normale vita ecclesiale è anche conforme al luogo sacro. La chiesa è luogo di preghiera, di silenzio e di contemplazione. Essa deve elevare e facilitare l’incontro soprannaturale col Signore, ricorrendo ai carismi propri dell’arte con materiali e creazioni di sicura qualità, lontani dalla mediocrità e senza distrazioni di sorta.
Questa confusione degli ambienti, invece, si ritorce contro una sana educazione religiosa sia degli adulti che dei bambini. Infatti, gli adulti vedendo la chiesa trattata come un’aula di scuola o di oratorio assumono a poco a poco l’idea che la chiesa e la liturgia siano cose puerili e debbano essere rivolte permanentemente ai fanciulli (giovanilismo). All’oggettistica si aggiungerà poi una ritualità, un linguaggio e una musica pure infantili. Verrebbe così a mancare nel popolo cristiano il senso ‘virile’, serio e importante della liturgia, quale opera del popolo nella sua più alta espressione pubblica e comune. Andare alla liturgia potrebbe così dare la medesima impressione che i nonni hanno nel partecipare al recital della scuola materna o simili. A lungo andare una pastorale liturgica impostata prevalentemente in questo modo finisce per deresponsabilizzare il popolo cristiano nel suo complesso e nei fedeli adulti che rivestono ruoli educativi, culturali e sociali: essi non avrebbero più la percezione della liturgia nella sua espressione più alta e matura, quale culmine e fonte della vita della Chiesa. Che ne è, infatti, oggi della liturgia solenne? Da essa sono sgorgate le manifestazioni più elevate della civiltà cristiana, la costruzione delle cattedrali, l’impiego della pittura, della scultura, della letteratura e della musica, imprimendo nella società il senso della trascendenza e, nel mentre si proclamava nel culto corale e solenne i diritti e il primato di Dio, si ponevano le basi della dignità e dei diritti dell’uomo con le annesse confraternite e strutture per le opere caritative. Possiamo dilapidare un così grande patrimonio e oscurare questa grandiosa prospettiva in nome di una riduzione banale, debole e senza fondamento della liturgia, travolta dalla frana inesorabile dell’effimero?
Ma gli stessi bambini e giovani sono danneggiati sul piano educativo della crescita e in futuro della partecipazione attiva alla liturgia e alla vita della Chiesa. Essi infatti collegherebbero la liturgia, sempre su loro misura, ad un’esperienza che con l’età dovrà essere abbandonata in vista dell’entrata nel mondo degli adulti. Essi non essendo mai venuti a contatto con l’alta e nobile forma della liturgia della Chiesa (riti, canti, tradizioni, ecc) finiranno per abbandonare ben presto la forma infantile della loro liturgia per volgersi ad altri lidi che troveranno fuori della comunità cristiana, ritenuti più conformi al progetto di una maggiore maturità umana e sociale. Insomma la ‘messa per i bambini’ e la ‘liturgia giovanilistica’, se sono proposte come esperienze permanenti e non episodiche, diventerebbero la fucina di futuri non praticanti e forse di non credenti. In tal senso non potrebbe far pensare a ciò forme di catechesi e di celebrazione che hanno come regolare esito il congedo dalla chiesa dopo la Confermazione?
Possiamo ritenere sufficiente che la grande forma della liturgia sia introdotta solo in un’età adulta? Che sarebbe se si dovesse cominciare ad insegnare la lingua italiana solo nell’età della maturità? Il bambino fin dai primissimi anni è in grado di ricevere il gusto artistico, musicale ed estetico con grande porosità e non è indifferente che questo contatto col bello, il nobile e lo splendore del vero sia stato o no offerto fin dal risveglio della vita cristiana. I grandi geni fioriscono in ambienti elevati, così i santi colgono il nettare della sacralità e bellezza liturgica fin dalla più tenera età. Ma occorre offrirla loro con generosità e fede nell’azione della grazia, che opera non nelle nostre invenzioni e teorie, ma nella fedeltà alla liturgia della Chiesa, celebrata in modo conforme alla sua più vera e nobile identità.