don Enrico Finotti – 1 maggio 2018
UN NUOVO ‘INVESTIMENTO’ SU DIO
Come superare questa crisi di fede alquanto radicata e capillare nel tessuto ecclesiale, al punto da apparire irreversibile e talmente condivisa da scoraggiare ogni tentativo di revisione?
Con un nuovo ‘investimento’ su Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo (Ef 1, 3), mediante un coraggioso ritorno alla fede, accettata integralmente nella sua pienezza dogmatica, senza riguardo al mondo e alle sue presunte conquiste umanitarie nella misura che fossero contrarie alla Legge eterna di Dio e alla divina Rivelazione. In tale orizzonte la Chiesa non deve temere di annunziare la Verità, ossia Cristo stesso che afferma: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Essa non deve ricercare il successo e la facile compiacenza degli uomini, ma obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (At 5, 29) e compiere la sua missione con lo sguardo unicamente rivolto a Lui, affidando a Lui solo la conversione dei cuori e l’efficacia dell’opera di evangelizzazione e di santificazione. Essa dovrà ripetere a sé stessa la ben nota dichiarazione dell’apostolo Paolo: Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei più servitore di Cristo (Gal 1, 10), che concorda col monito dell’apostolo Giacomo: Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio (Gc 4, 4) e meditare assiduamente le parole evangeliche: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare (Lc 17,10). Solo così essa potrà con umiltà e determinazione dire ancora Non possumus davanti all’errore dottrinale e con carità virile e misericordia illuminata ‘ammonire i peccatori’ per la salvezza delle loro anime. Diversamente essa si troverà paralizzata dalla paura di non essere gradita al mondo e si sentirà costretta ad una accondiscendenza indegna che pur di conformarsi al pensiero dominante non temerà, Dio non voglia, di tradire il suo Maestro e Signore (Gv 13, 13).
Il beato papa Paolo VI ci è maestro nel coniugare il dialogo ecumenico – ma anche il dialogo col mondo – con l’indefessa fedeltà alla Verità. Nel congedare gli Osservatori delle altre Confessioni cristiane intervenuti al Concilio Ecumenico Vaticano II nell’udienza a loro concessa il 4 dicembre 1965 ebbe ad affermare:
“Voi state per partire. Ma non dimenticate questa carità con cui la Chiesa cattolica romana continuerà a pensare a voi e a seguirvi. Non la crediate insensibile ed orgogliosa, se essa sente il dovere di conservare gelosamente il ‘deposito’ che dalle origini porta con sé, e non l’accusate di averlo deformato e tradito, se nella sua secolare e scrupolosa e amorosa meditazione vi ha scoperto tesori di verità e di vita, a cui sarebbe infedeltà rinunciare. Pensate che proprio da Paolo, apostolo della ecumenicità, essa ha avuto la sua prima formazione al magistero dogmatico. E pensate che la verità tutti ci domina e tutti ci libera; ed anche che la verità è vicina, molto vicina all’amore”.
Abbiano tutti i nostri pastori e teologi la grazia di parlare ed agire secondo questo mirabile equilibrio per l’edificazione dei fedeli!
‘Investire’ su Dio significa pure superare finalmente il binomio ideologico ‘progressista – tradizionalista’ in favore del comune obiettivo della ricerca della Verità. Se dalle due parti si tende alla ricerca della Verità, diventerà del tutto ininfluente essere ‘progressisti’ o ‘conservatori’. Se la Verità si trova in un valore ritenuto del passato si recupererà il passato, se la Verità si manifesta in un valore ‘nuovo’ lo si accoglierà di buon grado.
Un nuovo ‘investimento’ su Dio implica infine delle scelte coraggiose, precise e determinate, che dovrebbero maturare sempre più nella convinzione dei pastori e dei fedeli:
1. La Chiesa deve ritornare ad annunziare il Vangelo con l’ardimento e con la forza delle origini, quando gli Apostoli per bocca di Pietro potevano dichiarare con piena convinzione alle folle: Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso! (At 2, 36). Ciò esige il coraggio e la preparazione dei sacerdoti e dei fedeli ad accogliere ed approfondire l’intero dogma della fede senza indebiti silenzi e selezioni di parti. All’integrità, alla completezza e alla semplicità dell’annuncio autentico della Parola di Dio corrisponde certamente l’intervento salvifico della Grazia, che converte i cuori al di là di ogni prospettiva e calcolo umano. Un annuncio addomesticato e svilito da fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasivento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore (Ef 4, 14) perde la sua forza soprannaturale e, sia il messaggio, che il messaggero, perdono dinanzi a Dio il profumo di Cristo (2 Cor 2, 15) e vengono gettati via e calpestati dagli uomini (Mt 5, 13). Infatti: Chi va oltre e non si attiene alla dottrina di Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina possiede il Padre e il Figlio (2 Gv 9). Il Catechismo della Chiesa Cattolica è un provvidenziale strumento per assicurare, che l’uomo di Dio sia completo eben preparato per ogni opera buona (2 Tm 3, 17). In esso le verità contenute nella sacra Scrittura si completano con quelle trasmesse dalla sacra Tradizione e tutte ricevono il sigillo di quella giusta interpretazione, che viene data dal Magistero vivo e perenne della Chiesa. La recezione dei sette Sacramenti richiede, oggi più che mai, che i fedeli siano adeguatamente istruiti nella sacra dottrina in misura della loro capacità e responsabilità. Non temano dunque i pastori a proclamare, né i fedeli a credere fermamente che: In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (At 4, 12).
Non meravigliamoci: la fermezza del dogma non sconcerta soltanto la nostra epoca, ma turbò non poco gli stessi ascoltatori e discepoli di Cristo. Infatti, quando dopo il discorso eucaristico nella sinagoga di Cafarnao molti discepoli dissero al Signore Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? (Gv 6, 60) già si anticipava quella perenne difficoltà della debole mente umana nel sostenere lo splendore del dogma rivelato, che avrebbe accompagnato le successive vicende della Chiesa. Ed anche il fatto che da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui (Gv 6, 66) costituisce l’esordio delle troppe e tristi defezioni degli eretici e scismatici, che hanno oscurato il cammino storico del popolo di Dio. Ma la Chiesa non deve temere. Proprio in questo fatto evangelico trova anche la risposta, l’unica che la potrà risollevare in ogni difficoltà. Essa, infatti, è sempre interpellata dal suo Signore con quelle parole apparentemente sconcertanti: Forse anche voi volete andarvene? (Gv 6, 67). Ma, custodita dalla potenza divina, la Chiesa risponderà sempre con le rassicuranti parole di Pietro: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna! (Gv 6, 68).
2. La Chiesa deve conservare con assoluta fedeltà i ‘Gesti’ istituiti dal Signore e trasmessi di generazione in generazione dalla Tradizione apostolica, i sette Sacramenti. Li deve difendere da ogni riduzionismo o alterazione e li deve celebrare con senso sacro e nobile forma. Tali ‘Gesti’ uniti alla ‘Parola’ che li interpreta, non possono essere alla mercé dei privati, ma sono di esclusiva pertinenza della Chiesa, che li garantisce con autorità soprannaturale. Essi sono ricevuti dall’Alto e consegnati mediante la divina Rivelazione e non possono in alcun modo essere ‘costruiti’ volta a volta dalla fantasia dei fedeli o dalle situazioni contingenti in cui vengono celebrati. Benedetto XVI ebbe appunto a lamentare: “Il più grave impedimento per una appropriazione pacifica della rinnovata forma liturgica consiste nell’impressione che la liturgia sia ora abbandonata alla propria invenzione” (RATZINGER J., La festa della fede, Jaca Book, 1990, p. 70, nota 8). La medesima cura con cui si rispettano i termini linguistici assunti dalla Chiesa per esprimere, definire e difendere il contenuto del dogma, deve essere impiegata verso i segni, i simboli e le parole che costituiscono i Sacramenti e ne assicurano la reale trasmissione della vita di Grazia. Come il senso autentico del pensiero del Signore può essere corrotto da un linguaggio teologico improprio, così l’efficacia della Grazia può essere incrinata dall’alterazione soggettiva dei riti sacramentali ben definiti nella loro oggettività dal Signore e dalla Chiesa, sua sposa.
La ‘partecipazione attiva’ alle celebrazioni liturgiche non può mai percorrere la strada infida della ‘costruzione soggettiva’ dei riti sacramentali, né da parte dei ministri, né da parte dei fedeli, ma consiste essenzialmente nella recezione cosciente ed umile e nell’osservanza fedele del Diritto liturgico, così come la Chiesa lo ha trasmesso e sviluppato nella continuità con la perenne Tradizione liturgica. Come non si inventa la fede, così non si inventano i mezzi divini della Grazia.
Ciò vale in modo assoluto per la parte di istituzione divina, sulla quale la Chiesa stessa non ha alcun potere, ma anche per quella di istituzione ecclesiastica, competendo soltanto all’autorità della Chiesa definire i riti. La Chiesa stessa inoltre indica nei libri liturgici le possibilità e le modalità di adattamento, che si ritenessero pastoralmente opportune. Tuttavia tali indicazioni devono essere rigorosamente rispettate e attuate con competenza e profondità spirituale.
In un’epoca di soggettivismo, di relativismo dogmatico e morale, di sociologismo e materialismo una tale obbedienza e sottomissione ai Sacramenti della fede sembra impossibile a realizzarsi e la tentazione di concedere qualcosa al mondo e al pensiero e costume dominante è forte. Tuttavia qui sta la sfida posta davanti alla pastorale liturgica della Chiesa. La scelta è ineluttabile e inderogabile: attingere efficacemente alla Grazia o comprometterla; avere la vita eterna o metterla a rischio.
La Chiesa da un lato deve obbedire sempre al comando divino: Guarda, disse, di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte (Eb 8, 5); e dall’altro deve ripetere continuamente ai suoi figli, talvolta riluttanti verso i Sacramenti, le parole rivolte dai servi al lebbroso Naaman sdegnato col profeta Eliseo e sul punto di andarsene: Se il profeta ti avesse ingiunto una cosa gravosa, non l’avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: Bagnati e sarai guarito (2 Re 5, 13).
3. La Chiesa, infine, nell’educare i suoi figli ed ammaestrare tutti gli uomini, deve confrontarsi con le primissime parole evangeliche pronunziate dal Signore: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4, 17). Identiche sono quelle del Precursore (Mt 3, 2). E ancora: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo (Mc 1, 15). Dello stesso tenore anche le parole di Pietro nel discorso di Pentecoste in risposta alla domanda: Che cosa dobbiamo fare, fratelli? (At 2, 37). E Pietro disse: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati…”. Con molte altre parole li scongiurava e li esortava: “Salvatevi da questa generazione perversa” (At 2, 38. 40).
L’odierna sfida morale non può distogliere la Chiesa dalla fedeltà a queste parole, certamente esigenti, ma colme di autentico amore per l’umanità decaduta a causa del peccato.
Se la Chiesa deve alzare la sua voce e ammonire con le parole vigorose dell’Apostolo: Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio (1 Cor 6, 9-10), ciò lo compie col cuore di madre, che suo malgrado deve annunziare la parola, insistere in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonire, rimproverare, esortare con ogni magnanimità e dottrina (2 Tm 4, 2) per la salvezza eterna degli uomini. La salvezza delle anime è infatti la sua suprema legge: Salus animarum suprema lex. E’ con l’animo colmo della misericordia del suo Signore, che la Chiesa parla ed esige. Non è la sua una posa di superbia, né una pretesa di dominio e neppure una cinica attestazione di insensibilità all’abiezione e alle sofferenze umane, ma è piuttosto con una struggente apprensione materna che Ella accompagna i passi incerti di un’umanità, che continuamente cade e tuttavia anela a risorgere. Come è possibile che si accolga di buon grado una diagnosi anche grave di un medico sincero e competente riguardo al corpo e non si riconosca il grido desolato della santa Madre Chiesa, che da parte del Signore istruisce gli uomini sulle gravi malattie dell’anima, offrendo per di più i rimedi soprannaturali? Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? (Mc 8, 36). Certo la Chiesa sa di non essere da più del suo Signore, perché un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone (Mt 10, 33), e infatti, se molte volte ha la grande gioia di udire da uomini toccati dalla Grazia le parole di Zaccheo (Lc 19, 8), altre volte dove constatare che altri uomini, dopo aver ascoltato l’annunzio, se ne vanno col volto triste come il giovane ricco (Mt 19, 22).
E’ il mistero insondabile della libertà umana!
Già presso la croce del Signore l’umanità si divise: da un lato la bestemmia, dall’altro la consegna adorante: Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno (Lc 23, 42). E sappiamo bene che nel giudizio finale tale divisione sarà palese e definitiva: Venite, benedetti del padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo… Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25, 34. 41).
IL RICORSO ALLA GRAZIA
Ed ecco le tre gravi sfide che stanno davanti a noi: la sfida dogmatica, la sfida liturgica, la sfida morale. Come affrontare un agone così tosto? Confidando nella Grazia divina. Infatti: Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre” (Gv 6,44) e: Senza di me non potete far nulla (Gv 15, 5). Una dottrina, un culto e una morale soprannaturali possono essere accolte e realizzate soltanto col ricorso ai mezzi soprannaturali: la fede viva e la frequenza ai Sacramenti. Senza l’intervento della Grazia ogni sforzo diventa insostenibile: né la ragione comprende la Verità rivelata, né la religione accoglie i Misteri sacramentali, né la morale è in grado di capire e vivere i Comandamenti divini. Se i Signore ha ritenuto di renderci partecipi di una dottrina, un culto e una morale tanto sublimi, ci dà anche l’intelligenza per intenderli e la forza per viverli. Infatti: Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio (1 Gv 5, 20) inoltre Dio è fedele non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla (1 Cor 10, 13). La Chiesa sa bene che davanti alla grandezza delle rivelazioni (2 Cor 12, 7) non potrà mai dire: E’ acerba!, come disse la volpe incapace di cogliere il grappolo d’uva, perché è consapevole di avere a sua disposizione gli infallibili strumenti della Grazia: i Sacramenti, donde scaturiscono torrenti di forza, della cui efficacia coloro che vivono fuori della Chiesa difficilmente possono farsi una chiara idea (Pio XII, Discorso ai partecipanti al convegno del ‘Fronte della famiglia’, 27 nov. 1951).
Certo la sacra Scrittura ci ammonisce in vista degli ultimi tempi: Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole (2Tm 4, 3-4). Non richiamano queste parole anche quella confusione filosofica, dottrinale, sociologica e morale, che stiamo attraversando?
Ma nel turbine della tempesta l’Apostolo ci offre pure una chiara linea di condotta: Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero (2 Tm 4, 5); e san Cirillo di Gerusalemme nelle sue ‘Catechesi’ raccomanda: Io ti consiglio di portare questa fede con te come provvista da viaggio per tutti giorni di tua vita e non prenderne mai altra fuori di essa, anche se noi stessi, cambiando idea, dovessimo insegnare il contrario di quel che insegniamo ora, oppure anche se un angelo del male, cambiandosi in angelo di luce, tentasse di indurti in errore. Così “se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che abbiamo predicato, sia anatema!” (Gal 1, 8) [PG 33, 519-523].