Nell’Ordo Missae Romano, considerato in tutta l’estensione della tradizione liturgica, contenuta, sia nel novus, sia nel vetus Ordo Missae, si riscontrano ben 9 richiami, di diversa intensità, alla mediazione degli Angeli, nel corso della Messa Romana.
- L’Angelo dell’Asperges
La Messa principale della domenica è preceduta, secondo una secolare tradizione, dal rito dell’Asperges, mediante il quale si ricorda il battesimo e si purifica l’assemblea dei fedeli, rinnovando la grazia battesimale con l’aspersione dell’acqua benedetta. E’ un rito molto significativo perché nel giorno della risurrezione del Signore (domenica) si rinnova quella grazia, che ci fu data col lavacro battesimale, quando il cristiano morì al peccato e risorse alla vita nuova. Ciò che ci viene messo permanentemente davanti agli occhi nelle pile dell’acqua lustrale alla porta della chiesa, viene opportunamente celebrato con maggior solennità nel rito dell’Asperges domenicale. Mentre nel vetus ordo tale rito era obbligatorio prima della Messa solenne di ogni domenica, oggi è facoltativo ed inserito eventualmente nei riti di inizio del novus ordo.
Ebbene nell’orazione conclusiva dell’Asperges (vetus ordo) si invoca l’intervento dell’Angelo con queste parole:
“Ascolta, Signore, Padre onnipotente, Dio eterno; degnati di mandare dal cielo il tuo santo Angelo, che custodisca, sostenga, protegga, visiti e difenda tutti coloro che si radunano in questo luogo. Per Cristo nostro Signore. Amen”.
In qualche modo il sacerdote, che asperge il popolo radunato per offrire il santo Sacrificio, richiama all’angelo di Dio, che passa in mezzo ai fedeli per purificarli da ogni iniquità, perché possano offrire un sacrificio gradito alla divina maestà, secondo le parole del profeta Malachia (3, 1-4):
“Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti. […] Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’oblazione secondo giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani”.
Questo ruolo di preparazione, che è svolto molto spesso dagli Angeli nella storia della salvezza prima dei grandi eventi della redenzione, si ripete nel rito dell’Asperges, che predispone immediatamente ad accogliere nel mistero l’intera opera della nostra salvezza, resa a noi disponibile nel Sacrificio incruento dell’altare. In qualche modo la figura dell’Angelo richiama quella di san Giovanni Battista, precursore di Cristo, che prepara la via al Signore mediante il battesimo di acqua per la remissione dei peccati. Egli è in realtà quel messaggero al quale allude il profeta Malachia nel brano sopra citato: «Ecco io manderò un mio messaggero».
Nel tempo pasquale la Chiesa canta al posto dell’Asperges il Vidi aquam, che ci riannoda alla visione dell’acqua che esce dal lato destro del tempio di Gerusalemme e che diventato un grande fiume porta la vita nel deserto e nel mar Morto (Ez 47, 1):
“Mi condusse poi all’ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso oriente. Quell’acqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell’altare”.
Ebbene l’Angelo del Signore, che guidava Ezechiele nel misurare ed attraversare l’acqua che scaturiva dal tempio, è l’Angelo che oggi la Chiesa invoca nel rito domenicale dell’Asperges/Vidi aquam e che prepara l’assemblea liturgica, mediante l’aspersione in ricordo del battesimo, alla celebrazione degna e fruttuosa del divin Sacrificio, fonte di grazia e di salvezza.
Col rito dell’Asperges la Chiesa riproduce liturgicamente in ogni domenica il mistero vasto della purificazione del popolo di Dio in vista del Cristo venturo, mediante gli Angeli e in specie quella purificazione più immediata operata dal Precursore stesso, che porta direttamente al Redentore. Egli in realtà è quell’Angelo dell’alleanza, che nel suo mistero pasquale, applicato a noi mediante il sacramento del battesimo, ci ha fatti un popolo santo e un sacerdozio regale.
2. L’Angelo del Confiteor
Gli Angeli sono presenti nell’atto penitenziale della Messa. La Chiesa ne invoca l’intercessione insieme con quella di Maria SS. e di tutti i Santi. Infatti, nel Confiteor si recita: “…e supplico la beata sempre vergine Maria, gli Angeli, i Santi e voi fratelli di pregare per me il Signore Dio nostro”.
Tuttavia la piena comprensione del ruolo angelico nel Confiteor si può cogliere soltanto nella sua forma più ampia e classica, dove gli Angeli sono invocati rivolgendosi al loro capofila, l’arcangelo san Michele. Infatti si dice:
“Confesso a Dio onnipotente, alla beata sempre vergine Maria, a san Michele arcangelo, a san Giovanni Battista, ai santi apostoli Pietro e Paolo, a tutti i santi e a voi fratelli che ho molto peccato in pensieri parole opera e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre vergine Maria, san Michele arcangelo, san Giovanni Battista, i santi apostoli Pietro e Paolo, tutti i Santi e voi fratelli di pregare per me il Signore Dio nostro”.
Questa forma ampia del Confiteor relazione l’intero mondo angelico col loro rappresentante più qualificato, san Michele arcangelo. Invocare i capofila degli Angeli, dei santi dell’Antico Testamento (san Giovanni Battista), e del Nuovo Testamento (Pietro e Paolo) è invocare tutti coloro che ne sono rappresentati. Nell’incipit si contiene tutto ciò che segue, ossia in san Michele arcangelo sono chiamati in causa tutti i gli Angeli ordinati nelle loro gerarchie. Ora l’arcangelo Michele può veramente essere il capofila di tutti gli Angeli perché fu colui che ne stabilì la scelta fondamentale in ordine all’adorazione e all’obbedienza agli ordini divini. Chi come Dio? significa il nome Michele. È il programma che ha fissato definitivamente lo stato di grazia degli Angeli, che lo hanno seguito. Il nome Michele rappresenta e contiene l’identità stessa di ogni Angelo, come il Non serviam di Lucifero è l’identità e il contenuto degli angeli decaduti, che lo hanno seguito nell’inferno.
Per questo san Michele arcangelo è il testimone più qualificato per verificare la verità del nostro pentimento nel momento solenne dell’ingresso nel Santo dei santi della celebrazione eucaristica. Egli scruta l’atto penitenziale dei fedeli alle soglie della Messa e lo valuta, stabilendo in qualche modo, se tale atto sia veramente autentico, ossia rispecchi quella totale obbedienza e adorazione agli ordini divini, che furono richieste agli Angeli per accedere definitivamente alla visione beatifica e che Michele interpretò in modo perfetto con quell’espressione Chi come Dio?, che rimane incisa indelebilmente nel suo stesso nome, Michele.
Per entrare degnamente nel santuario e celebrare fruttuosamente il Sacrificio incruento è necessario avere la veste candida della grazia, reiterando noi, qui ed ora, quella medesima scelta che gli Angeli dovettero fare in modo irreversibile di fronte al grido dell’arcangelo Michele: Chi come Dio?, che li guidava all’adorazione totale della volontà divina, allontanandoli definitivamente dalla ribellione dei demoni col Non serviam di Lucifero.
Dopo essere stato il testimone dell’autenticità del nostro pentimento, l’arcangelo Michele ne diviene avvocato e intercessore presso Dio, quando lo si invoca di nuovo nella seconda parte del Confiteor insieme alla Madonna e ai Santi.
3. L’inno angelico Gloria in excelsis
Il Gloria in excelsis è detto appunto l’Inno angelico in quanto è intonato dagli Angeli nella santa notte di Natale. “Gloria in excelsis Deo et pax hominibus bonae volumptatis” cantano gli Angeli in Betlemme, invitando i pastori ad unirsi all’esultanza delle schiere angeliche per la nascita del Redentore.
Col Gloria in excelsis inizia nella Messa una presenza corale del mondo angelico. Infatti, la notte natalizia è l’unico caso in tutta la sacra Scrittura in cui si racconta di una discesa in massa degli Angeli sulla terra. Normalmente vi è l’intervento di singoli Angeli, inviati da Dio per una speciale missione. Al massimo sono due o tre (Cfr. Mamre), ma mai intervengono sulla terra nell’insieme delle loro schiere o cori angelici, come invece avviene nella notte di Natale. Il fatto è motivato dal grande mistero che l’Incarnazione porta sulla terra e pone nell’umile grotta di Betlemme il termine della loro adorazione: il Verbo incarnato con la sua santissima Madre. Non dimentichiamo che tutti gli Angeli dovettero pronunziarsi davanti al mistero del Verbo incarnato per essere o meno confermati in grazia ed accedere definitivamente alla visione eterna e beata di Dio. Ora, in Betlemme, quel mistero che fu loro anticipato da Dio per l’irreversibile scelta in ordine all’eterna loro salvezza, si realizzava, ed essi accorrono alla grotta per offrire la loro sublime adorazione ed elevare il loro indicibile canto. Al contempo quella notte di luce è terribile per gli angeli ribelli, che furono precipitati nell’inferno proprio per aver pronunziato davanti al mistero del Verbo incarnato il loro rifiuto col Non serviam.
Ebbene nella Messa domenicale o festiva risuona quel canto corale degli Angeli e ad esso si unisce la lode di tutta la Chiesa, che lo fa suo, assumendo perciò, insieme al canto, anche la scelta degli Angeli, che è scelta di lode e di adorazione del Verbo incarnato, disceso in terra per la salvezza dell’umanità credente.
E’ necessario che il popolo cristiano quanto eleva l’inno angelico percepisca il mistero soprannaturale della comunione con gli Spiriti beati, che lo intonano e lo conducono dal cielo, mentre noi vi corrispondiamo dalla terra.
Inoltre cantando il Gloria in excelsis i fedeli devono entrare sempre di più in quell’adesione di fede nel Verbo incarnato, che sta a fondamento dell’eterna salvezza, sia degli Angeli, sia degli uomini redenti.
Il testo angelico che costituisce l’incipit dell’inno: Gloria in excelsis Deo et pax hominibus bonae volumptatis raccoglie in sé l’essenza dell’essere cristiani: l’adorazione a Dio, che deve essere amato con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze (Gloria in excelsis Deo) e l’amore al prossimo che richiede una continua opera di pace mediante l’esercizio della carità (et pax hominibus bonae volumptatis).
Ed è così che nel canto degli Angeli si ode sulla terra quella gioia che è propria delle sedi celesti e quella pace che il mondo non può dare. In tal modo, come nella notte santa, anche nella celebrazione eucaristica il cielo discende sulla terra per darci l’anticipo della vita beata.
4. L’Angelo nel Munda cor meum
Il novus ordo offre una breve formula per predisporre il sacerdote o il diacono alla proclamazione del santo vangelo:
“Purifica il mio cuore e le mie labbra, Dio onnipotente, perché possa annunziare degnamente il tuo vangelo”.
Ma per cogliere la ricchezza della tradizione bisogna ricorrere alla formula più completa del vetus ordo:
“Purifica il mio cuore e le mie labbra, Dio onnipotente, tu che con un carbone ardente hai mondato le labbra del profeta Isaia, per la tua misericordia degnati di purificarmi, affinché possa annunziare degnamente il tuo santo vangelo”.
Anche se la formula non lo dice esplicitamente, l’immagine porta a quel Serafino che con i carboni ardenti presi dall’altare toccò le labbra del profeta purificandolo.
L’immagine è desunta dalla visione di Isaia (6, 6-7):
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e mi disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato».
La liturgia quindi pone sulla bocca del sacerdote, che sta chino ai piedi dell’altare per invocare l’aiuto divino, quel medesimo intervento divino che fu operato sulle labbra del profeta Isaia. L’Angelo di Dio scende dal cielo, tocca le facoltà interiori del ministro sacro e lo abilita ad una proclamazione evangelica, degna e competente (digne et competenter). E’ Dio infatti che somministra dall’alto la competenza teologica e mistica per comprendere ed annunziare il santo vangelo, come pure quella dignità interiore che deriva dalla grazia e che si deve manifestare nella gravità e proprietà del portamento e dei gesti liturgici.
5. Gli Angeli nel Credo niceno-costantinopolitano
Il Credo niceno-costantinopolitano ha un breve ma intenso richiamo dottrinale all’esistenza e alla natura degli Angeli, quando afferma:
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose, visibili ed invisibili.
Al testo del Credo fa eco il Magistero della Chiesa in alcuni numeri del CCC:
La professione di fede del Concilio Lateranense IV che afferma che Dio «fin dal principio del tempo, creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature, quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo terrestre; e poi l’uomo, quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo» (CCC, n. 327).
L’esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede. La testimonianza della scrittura è tanto chiara quanto l’unanimità della Tradizione (CCC, n. 328).
In quanto creature puramente spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono creature personali e immortali. Superano in perfezione tutte le creature visibili. Lo testimonia il fulgore della loro gloria (CCC, n. 330).
Nella professione di fede quindi la Chiesa non solo invoca l’intercessione e l’intervento angelico, ma vuole confermare con chiarezza senza incertezze di sorta la dottrina cattolica sugli Angeli, sulla loro esistenza, sulla loro azione secondo gli ordini divini, sul loro essere personale, sulla loro natura spirituale e immortale e sulla loro eccellenza rispetto ad ogni altra creatura visibile. Dio creò due generi di creature: quelle visibili, che sono nell’universo visibile; e quelle invisibili, i puri Spiriti, a immagine e somiglianza di Dio, che stanno nei cieli.