DON ENRICO FINOTTI
Perché la chiesa è un dono grande? E perché è doveroso costruire edifici sacri e conservare il grande patrimonio artistico, storico, culturale e spirituale in essi contenuto? Una certa mentalità oggi tende a sminuire il senso delle chiese-edificio come espressioni del culto a Dio e – quando è necessario costruirle – si tende a produrre chiese minimali, povere e possibilmente ‘nascoste’ nel contesto urbanistico. Per di più si dice che Dio vuole i nostri cuori e non i templi, vuole che si aiutino i poveri piuttosto che spendere per i monumenti. Certo con questa mentalità un popolo non troverà entusiasmo ad avere una bella chiesa, né a conservarla e impreziosirla. Si tenderà invece a spogliarla, magari svendendo i suoi arredi , comunque a non apprezzarla, quasi fosse un ‘peccato’ possedere una gran bella chiesa. Succede in conseguenza che la comunità cristiana, seppur inconsciamente, demandi all’ente pubblico la salvaguardia delle sue chiese ridotte alla sola realtà di beni storici e culturali, quasi rinnegando ciò che i padri fecero in passato e percorrendo sentieri ritenuti più ‘evangelici’, che si risolvono tuttavia in opere semplicemente sociologiche e umanitarie, non sufficientemente però impostate sulla dimensione ascendente e soprannaturale del mistero di Dio. Insomma la dimensione antropocentrica – oggi dominante – sembra togliere spessore alla dimensione teocentrica, che ispirò la costruzione delle chiese storiche. Per valutare la portata delle nostre chiese occorre, allora, considerare il valore che la chiesa rappresenta su diversi piani: nei riguardi di Dio, in relazione alla comunità cristiana e i singoli fedeli e in ordine all’evangelizzazione dell’ambiente.
LA CHIESA È INNANZITUTTO UN SEGNO PERMANENTE DI CULTO A DIO
È questo un aspetto quasi estinto nella odierna mentalità. In realtà esso è il più nobile, il più antico e universale. Le religioni dei popoli edificano i templi fondamentalmente e primariamente per rendere culto alla divinità e per farne un dono esclusivo a Dio, rendendo sacro il tempio, ossia estraniandolo dall’uso degli uomini (profano). Dio stesso nelle disposizioni impartite a Mosè sul monte Sinai (Esodo cap.25-31), comanda la costruzione della tenda sacra e poi quella del tempio di Gerusalemme a Salomone (1 Re 9, 25), come atto di culto visibile permanente alla sua maestà, segno materializzato e stabile, punto fisico di orientamento nella vita quotidiana del suo popolo. La tenda e poi il tempio in Gerusalemme richiamano la continua presenza di Dio in mezzo al popolo e il popolo, anche in esilio, guarderà in direzione del tempio per la preghiera. L’uomo, che è fatto di anima e corpo e che conosce mediante i sensi corporei, non può esprimere compiutamente un culto pieno e gradito a Dio senza coinvolgere la sua corporeità. In un puro spiritualismo e in una assoluta interiorità non si può realizzare un atto di culto veramente umano e conforme alla nostra natura. Noi non possiamo assolutamente accedere a Dio se non attraverso la percezione delle cose sensibili: mediante esse la mente si eleva al Creatore. Sostenere un culto senza tempio e senza riti è esporsi ad una religiosità inautentica, precaria e difforme dalla reale struttura del nostro essere. Certo è vero anche che non possiamo delegare al tempio il nostro culto personale, ma il tempio stesso è al servizio di un culto interiore che la visione e la frequentazione del tempio deve sempre alimentare. Allora la costruzione di una chiesa è un atto di adorazione, di lode, di accoglienza di Dio nell’ambiente concreto in cui viviamo. Egli è al centro delle nostre case, emerge sovrano nelle nostre città e paesi, si impone ai nostri panorami, presiede nelle nostre piazze e segna gli snodi delle nostre vie. In questa luce si comprende come il criterio della sola funzionalità sia insufficiente per una chiesa, ma vi debbano invece concorrere altri criteri, quali la monumentalità, l’arte, la bellezza, l’armonia, il genio, ecc., che affermano la qualità di un atto adorante e di un dono prezioso offerto al Signore. Il cuore dell’uomo di fede, sente e opera affinché Dio gradisca un edificio sacro splendido, per non presumere di accostarsi a Dio dando a Lui il mediocre, come Caino o lesinando nelle cose che riguardano Dio, come Giuda. Non è vero che Dio guarda solo al cuore, egli ha dimostrato nei miracoli del suo divin Figlio, di volere anche un corpo sano e l’offesa al creato visibile è offesa al Creatore invisibile. È quindi una questione di ordine altamente spirituale quella della qualità dell’architettura, della scultura, della pittura, della letteratura e della musica sacra. Non possiamo ritenere estranea alla considerazione di Dio la qualità materiale delle nostre chiese. Non possiamo dire: A Dio tutto va bene! Perché in tal modo banalizzeremo Dio stesso, considerandolo una realtà fruibile al nostro egoismo e disponibile alla nostra grettezza di sentimento. Il comandamento, Non nominare invano il Nome del Signore Dio tuo, significa non trattare Dio con sufficienza e banalità, sottomettendolo ai nostri ritmi e ai nostri gusti e pretendendo di soddisfarlo col minimo della nostra generosità. Ecco allora che non fu un limite quello dei nostri padri, che si espressero con cattedrali e basiliche di impareggiabile genio e di inestimabile valore: lo stile paleocristiano, il romanico, il gotico, il rinascimentale, il barocco, l’oriente e l’occidente con modulazioni infinite hanno proclamato la gloria di Dio e Dio ha accettato questo singolare canto di lode, che ci è stato trasmesso nella storia secolare della Chiesa. Se i Santi costituiscono le pietre vive per il tempio eterno, l’arte sacra di tutti i tempi rappresenta l’uso santo e la trasfigurazione della materia, che, visitata dal genio dei santi, viene a rispecchiare la città celeste, la santa Gerusalemme. Lì dove vivono i Santi, anche la materia del mondo che li circonda viene rielaborata da quel medesimo Spirito, che edifica l’interiorità del loro cuore. Non è assolutamente possibile separare ciò che Dio ha congiunto, non è possibile individuare la santità dell’anima se questa non modella il volto del corpo e la materia dell’universo, che in tal modo raggiunge la sua più alta finalità. Che la chiesa-edificio sia fondamentalmente l’espressione architettonica di un permanente atto di culto a Dio lo esprime bene anche la tradizione liturgica nel rito della Dedicazione, col quale una nuova chiesa viene solennemente dedicata a Dio e quindi resa stabilmente luogo sacro, dove alberga perennemente la divina presenza. Nel rito l’offerta a Dio dell’edificio sacro è primaria rispetto alla consegna di esso alla comunità. Ora il Signore risponde a questo atto di culto con un dono, che nella nostra fede è unico e sorprendente. Infatti non solo Egli parla al suo popolo e lo santifica con la virtù che promana dai suoi sacramenti, ma Egli stesso in persona, il Figlio di Dio incarnato, dimora nelle nostre chiese con una presenza vera reale e sostanziale nel SS. Sacramento dell’Eucaristia. In nessun altro tempio, fuorché nelle chiese cattoliche, la presenza di Dio raggiunge una tale intensità. Egli veramente è con noi fino alla fine del mondo, anche col suo corpo fisico, ora glorificato, ma realissimo. Ecco perché è il tabernacolo il cuore pulsante della chiesa e la conservazione del SS. Sacramento, che scaturisce dalla celebrazione del divin Sacrificio ed è permanente nelle specie consacrate, è la finalità più alta e più nobile dei nostri edifici sacri. L’altare stesso, dopo la celebrazione sacrificale, in quanto simbolo, si scosta davanti alla realtà sacramentale di Colui che è personalmente “altare, sacerdote e sacrificio”. La presenza eucaristica, infatti, assicura che la liturgia nelle nostre chiese sia sempre viva e operante. Mai nella storia mondiale delle religioni si ebbe una risposta tanto misteriosa e generosa, totale e impensabile da parte di Dio verso gli uomini, che gli offrivano i loro templi. La stessa presenza del Signore nel Santo dei Santi del tempio di Gerusalemme non era che una debole figura rispetto alla realtà dell’Eucaristia. Per questo la centralità del tabernacolo assume nel tempio cattolico una condizione assoluta e indubitabile, come coerente espressione del dogma della fede. I simboli sacri, per quanto grandi e importanti, devono cedere sempre il posto alla persona viva del Verbo Incarnato, che notte e giorno dimora nelle nostre chiese, come il Dio con noi. È questa dimensione cultuale che fonda una proliferazione di chiese nelle città storiche cristiane, anche oltre il bisogno della comunità cristiana. La stessa logica cultuale presiede inoltre alla costruzione dei capitelli domestici, delle edicole lungo le vie e delle tante chiese votive disseminate nelle nostre campagne. A questa visione cultuale si deve fare ritorno per poter comprendere fino in fondo la mentalità della Chiesa di tutti i tempi e lo spirito che guidava i nostri padri nella fede. (continua)