DON ENRICO FINOTTI
La riforma liturgica ha voluto conferire alla proclamazione della parola di Dio tutta l’importanza che conveniva e per questo ha riproposto il luogo celebrativo dal quale la parola di Dio fosse convenientemente proclamata e spiegata come parte integrale dell’azione liturgica. Così oggi si ritorna con decisione all’ambone, riprendendolo nel suo migliore ruolo storico e classico. Non si tratta tuttavia di un semplice ritorno archeologico, ma le odierne circostanze implicano un’assunzione dell’antico ambone con caratteristiche conformi ai nostri tempi e alle esigenze dei riti oggi vigenti.
L’Ordinamento Generale del Messale Romano afferma:
L’importanza della parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunziata, e verso il quale, durante la Liturgia della Parola, spontaneamente si rivolga l’attenzione dei fedeli. Conviene che tale luogo generalmente sia un ambone fisso e non un semplice leggio mobile. L’ambone, secondo la struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modo tale che i ministri ordinati e i lettori possano essere comodamente visti e ascoltati dai fedeli. Dall’ambone si proclamano unicamente le letture, il salmo responsoriale e il preconio pasquale; ivi inoltre si possono proferire l’omelia e le intenzioni della preghiera universale o preghiera dei fedeli. La dignità dell’ambone esige che ad esso salga solo il ministro della Parola. E’ conveniente che il nuovo ambone sia benedetto, prima di essere destinato all’uso liturgico, secondo il rito descritto nel Rituale Romano (OGMR 309).
Alla luce di questa dettagliata normativa liturgica, possiamo definire ancor meglio la posizione, la forma e l’arte, che convengono all’ambone, per poter assolvere il suo specifico ruolo liturgico.
– La posizione. Le indicazioni rubricali si limitano a dire che l’ambone sia in un luogo adatto. Occorre allora individuare quale sia il luogo più opportuno per l’ambone. Dobbiamo innanzitutto rilevare come l’odierno uso degli altoparlanti abbia superato il problema acustico, che nel passato fu determinante per la localizzazione dell’ambone. Emergono perciò con maggior evidenza altri criteri che concorrono ad individuare il luogo più idoneo per l’ambone. Se verso di esso deve volgersi spontaneamente l’attenzione dei fedeli, la posizione frontale rispetto all’assemblea è certamente la più conveniente. Qualora, infatti, i fedeli, seduti in direzione dell’altare, dovessero volgersi verso un ambone dislocato in altre parti della navata, sarebbero costretti ad ascoltare la Parola in modo scomodo e non spontaneo. Diverso era il caso dell’assemblea antica, non condizionata dai banchi. Allora i fedeli, sciolti nei loro movimenti, potevano con facilità volgersi a qualsiasi posizione li portasse la sequenza dei riti: verso l’altare, verso l’ambone, verso oriente ecc. E’ quindi importante che, dentro l’angolo ottico nel quale si svolge l’intera azione liturgica, che si compie sul presbiterio, si possa pure porre il luogo della Parola, che in tal modo si collega opportunamente con gli altri poli celebrativi, previsti in ogni azione liturgica: l’altare e la sede (OGMR 295). L’ambone però non deve invadere la zona sacra dell’altare, né in alcun modo ostacolare la sua piena visibilità e la sua indiscussa centralità. Dovrebbe quindi essere collocato a cerniera tra il presbiterio e la navata. Questa posizione intermedia mette in luce, da un lato l’accondiscendenza di Dio, che si rivolge verso il suo popolo, dall’altro i due generi di ministri, che operano nella liturgia della Parola: i ministri ordinati, che accedono dal presbiterio e i ministri laici, che salgono dalla navata. E’ evidente che l’ambone deve essere posizionato in modo alquanto laterale, se si vuole rispettare anche otticamente l’altare e l’integrità dell’area sacra, che all’altare aderisce. Questa lateralità, del resto, afferma visivamente come la parola di Dio sia previa al Sacrificio sacramentale e sia orientata ad esso come a suo necessario compimento. Il rapporto dell’ambone con la sede e con l’altare consente uno svolgimento ben concatenato dei riti, senza eccessivi stacchi e inutili ritardi. In tal senso i tre luoghi celebrativi si presentano tra loro raccordati nell’insieme dell’azione liturgica, anche se adeguatamente distinti nelle loro aree specifiche. La prassi invalsa di raccogliere l’altare, l’ambone e la sede, nella zona presbiteriale e nelle sue immediate adiacenze, ha il pregio di manifestare l’unità dei tria munera, con i quali il Signore pasce il suo popolo: il munus docendi (ambone), il munus santificandi (altare), il munus gubernandi (sede). I fedeli, con uno sguardo unitario, contemplano i tre luoghi santi dai quali Cristo li ammaestra, li santifica e li guida, e ciò rimane visibile ed eloquente, anche fuori della celebrazione. Al contempo occorre evitare che questa condensazione dei luoghi liturgici costituisca una reciproca interferenza, provochi indebite sovrapposizioni e penalizzi l’assoluta centralità dell’altare.
– La forma. Affinché l’ambone aiuti la celebrazione in modo idoneo, sia ampio, dal momento che talvolta su di esso devono trovarsi più ministri[1].
Un leggio qualunque non basta: ciò che si richiede è una nobile ed elevata tribuna possibilmente fissa, che costituisca una presenza eloquente, capace di far echeggiare la Parola anche quando non c’è nessuno che la sta proclamando. Accanto all’ambone può essere collocato il grande candelabro per il cero pasquale[2].
L’ambone quindi deve essere una vera tribuna elevata e sufficientemente ampia per accogliere più ministri: gli accoliti con i ceri e il turibolo, che circondano il diacono nella proclamazione solenne del Vangelo, oppure i tre diaconi per la proclamazione della Passione. Anche le scale o le rampe di accesso devono essere adatte al percorso processionale e i ministri devono poter salire all’ambone con l’incedere liturgico. Per questo un leggio qualunque non basta: il leggio infatti è una parte dell’ambone, necessario per sostenere il lezionario e l’Evangeliario, ma da solo non costituisce l’ambone. Spesso tuttavia si pensa che basti dare ad un leggio la solidità della pietra o del bronzo per fare un ambone, ma in realtà questo non realizza la forma e il ruolo di un vero ambone. E’ evidente che diversa è la situazione delle chiese storiche o delle piccole cappelle nelle quali si dovrà agire secondo le situazioni specifiche, oppure servirsi semplicemente di un decoroso leggio. Oggi non si accenna più al duplice ambone, che tanta enfasi ebbe nell’antichità, e l’unicità intende potenziare la sua dignità, così come si parla dell’unicità dell’altare, del tabernacolo e di ogni altro luogo importante della Chiesa.
– L’arte. L’ambone deve costituire una presenza eloquente, capace di far echeggiare la Parola anche quando non c’è nessuno che la sta proclamando. Non basta allora all’ambone il criterio della funzionalità tecnica, ma è pure necessario l’apporto dell’arte, che riproduca in immagini visibili il mistero invisibile, che su di esso si compie. Per questo tutti i secoli non hanno mai deposto lo sforzo creativo per far risplendere negli amboni e nei pulpiti le mirabili creazioni dell’arte sacra. I fedeli che li ammirano, anche fuori della celebrazione liturgica, devono poter ricevere il richiamo forte ed efficace della presenza di Cristo – maestro. Ciò avviene con l’impiego di un’arte sacra autentica, che sappia esprimere in modo corretto il mistero della fede, senza indulgere ai vani espedienti di una mera estetica, priva di profondità teologica. La formazione degli artisti e la loro iniziazione teologica, liturgica e spirituale è di fondamentale importanza. In tal modo, radicati in una retta teologia, sapranno esprimere adeguatamente il dogma della fede, muniti da una profonda spiritualità, potranno trovare le migliori risorse del genio umano, elevato dalla grazia, per dar corpo all’invisibile, forniti da una specifica preparazione liturgica, possibilmente attinta ad una pratica liturgica personale e diretta, sapranno interpretare ciò che la Chiesa esige da un luogo della Parola, che sia del tutto conforme alla sua funzione e ben integrato nella struttura dei riti. E’ su questa base che la storia dell’arte cristiana può offrire ancor oggi monumenti splendidi, nei quali l’evento soprannaturale dell’annunzio è reso visibile nelle migliori espressioni dell’arte sacra. Tale strada non può essere abbandonata, né in nome del funzionalismo, né in nome di una certa e diffusa mentalità pauperistica.
Non è da escludere, che anche sull’ambone, a secondo dello stile e del materiale, si usino stoffe secondo i colori liturgici, che ne evidenzino i tempi e le feste: Tale ambone sia sobriamente e convenientemente decorato a seconda della sua struttura in modo stabile o occasionale, almeno nei giorni solenni [3]. Tuttavia l’addobbo con preziosi tessuti dovrebbe essere previsto fin dal progetto iniziale, per non dover coprire, proprio nelle maggiori solennità, le parti artistiche più espressive dell’ambone stesso. Sembra conveniente che l’eventuale addobbo dell’ambone abbia un riscontro anche in quello dell’altare, recuperando, ad esempio, la tradizione del paliotto.
[1] CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Risposta a dubbi proposti: Luogo dell’annunzio della Parola di Dio, 28 febb. 1998 in Enchiridion vaticanum vol. 17, n. 480.
[2] AC, n. 9.
[3] CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Risposta a dubbi proposti: Luogo dell’annunzio della Parola di Dio, 28 febb. 1998 in Enchiridion vaticanum vol. 17, n. 480.