L’ABITO DEI SACERDOTI SECONDO IL BEATO ANTONIO ROSMINI – Seconda parte della XI “Conferenza sui doveri ecclesiastici”

 

BEATO ANTONIO ROSMINI

 

Quanto poi alle vestimenta, chi non sa, come sia raccomandato ai sacerdoti di portare l’abito loro conveniente da tutti i canoni? Chi non sa quanto intensamente e replicatamente si vietino tutte le fogge secolaresche, si raccomandi il color nero, la forma lunga o talare, e gli altri distintivi del costume ecclesiastico? Egli è vero che, come si suol dire, l’abito non fa il monaco; ma è vero altresì che l’abito segna il monaco, e lo distingue da tutti gli altri: e se cotanto lo raccomandano le pre­scrizioni di tanti sapienti Vescovi della Chiesa, che pur hanno autorità di comandare, e costantemente per tanti secoli, non è egli segno che reputarono il vestire da ecclesiastico cosa di gran momento? E se tanti uomini sommi Padri e Pastori della Chiesa, così giudicarono, qual temerità non sarà la nostra, giudicando noi altrimenti, quasi che tutti quelli si fossero ingannati!

L’abito infatti giova assai all’anima dell’ecclesiastico col dividerlo dal mondo, e col ricordargli continuamente, che egli ha indosso le divise di Gesù Cristo. Queste divise il debbono continuamente ammonire a tenersi lontano da tutto ciò che sa di profano, e che spira aria di mondo, e a munirlo, per conseguente, contro molti pericoli. Queste divise debbono essere a lui care, e bello è il costume di quei sacerdoti, i quali la mattina in sorgendo dal letto, prima d’indossare la loro veste talare, la baciano con divozione e con tenerezza. E che? Le professioni secolari amano la loro divisa: si compiacciono di averla indosso, e se ne gloriano come di cosa onorifica: il soldato non tralascia di cingere la sua spada, il magistrato non omette di vestir la sua toga: e il sacerdote di Cristo amerà meno quel suo uniforme che lo dichiara soldato del sommo Re e magistrato del regno di Cristo? E ci vorrà tanta fatica a fare che almeno non se ne vergogni? … Consideriamo bene che ogni cosa, che tende e si avvicina al vestito de’ secolari, accusa il prete di vanità e di leggerezza in faccia al mondo, che sa troppo discernere quali siano i sacerdoti più rispettabili anche dal loro vestire.

Non ci sfugga ancora, che, se è contraria alla gravità sacerdotale la forma o il colore secolaresco dell’abito, o la troppa attillatura, non meno offende la gravità del sacerdote la sordidezza e la sporcizia, o l’andar troppo logori e pezzenti, non per amore di evangelica povertà, ma per negligenza ed inerzia, e peggio ancora per avarizia. Nettezza ed ordine deve risplendere nel sacerdote e in lutto le cose sue: netta, pulita e ordinata deve essere la casa del sacerdote, pulite le sue vestimenta.

Ciò è massimamente richiesto per le vesti di chiesa: le talari, le cotte, i camici e tutti i sacri paramenti debbono essere tenuti mondi e non sdruciti.

Tali vesti, dove siano sucide e logore oltremodo, lungi dall’eccitare il rispetto ne’ fedeli, sono ad essi testimonia del nullo rispetto che ha per la Chiesa e per le cose della Chiesa il prete stesso. Onde, che rispetto avrà il popolo, se vede che nessun rispetto ne ha il sacerdote?

Ancora, le vestimenta sacre sono ordinate a simboleggiare le virtù interiori. Or diremo noi, che debbano simboleggiare virtù, tutte lorde e macchiate? La cotta, a ragion d’esempio, ed il camice indica la purità per la sua candidezza: or bella purità sarà quella, che invece di candida, mostrasi quasi nera e sozza per mille macchie! Su tutto ciò dobbiamo noi tirare il nostro esame, e fare i nostri propositi.

Chiudiam gli orecchi, miei Reverendi Fratelli, alle vane scuse, colle quali cercano di disobbligarsi dal vestir secondo il decoro ecclesiastico i tiepidi sacerdoti.

Altri vi diranno, che queste cose esterne sono minuzie; ma non tocca per avventura ad essi il giudicare, che cosa importi al ben della Chiesa, o no: questo tocca ai Vescovi che la governano guidati dallo Spirito Santo: Spiritus Sanctus posuit Episcopos regere Ecclesiam Dei (At 20,28); e i Vescovi giudicano che il vestir l’abito ecclesiastico non sia minuzia, ma cosa di gran momento per il bene del clero e dei po­poli: e le ragioni le abbiamo già accennate.

Altri vi diranno, che è alquanto incomodo il costume ecclesiastico; ma il sacerdote, uomo di sacrificio e di mortificazione, deve essere superiore a questi piccoli incomodi personali, trattandosi di eseguire le leggi e di provvedere al ben della Chiesa.

Altri diranno, che costan troppo: ma costoro non mostrano che una sordida avarizia, se pur non è questo un pretesto per disubbidire.

Altri vi diranno finalmente, che l’abito ecclesiastico toglie loro la libertà. Ma per questo appunto è fatto, acciocché il sacerdote non sia troppo libero, giacché egli deve essere il servo di Dio, e non aver quella che S. Pietro chiama velamen malitiae, libertatem (1 Pt 2,16).

Insomma non mancano mai de’ pretesti ai sacerdoti tiepidi affin di sottrarsi alla soggezion delle leggi …

 

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