DON ENRICO FINOTTI
Quando il cielo discende sulla terra
Quando sulla terra la Chiesa celebra il Sacrificio incruento dell’altare si compie una mistica convocazione sacrificale di tutti i figli di Dio, sia quelli pellegrini in terra, sia quelli che si stanno purificando in purgatorio, sia quelli che contemplano per l’eternità il volto ineffabile del Dio Uno e Trino. Veramente il cielo e la terra si uniscono per innalzare un’identica lode e compiere l’adorazione, che glorifica la Trinità divina e infonde nelle creature la vita immortale e ogni benedizione. Alcuni concorrono all’offerta del Sacrificio (i Santi che già sono in cielo e quelli che sono ancora pellegrini e militanti sulla terra), altri attendono dal Sacrificio celebrato i frutti di grazia (le anime purganti e il mondo che attende ancora la redenzione).
Questa viva percezione della presenza in mysterio del Cielo durante la celebrazione eucaristica, deve essere particolarmente considerata e dobbiamo interrogarci se e in che misura e con quale efficacia il rito e il modo di celebrarlo trasmettano adeguatamente la percezione del sacro e mettano in sintonia spirituale i sacerdoti e i fedeli con tale realissima dimensione, colta soltanto dallo sguardo interiore della fede. Una celebrazione ridotta alla dimensione del visibile, sociologica, orizzontale ed umanitaria, oscura totalmente il respiro trascendente e soprannaturale del mondo divino, che realmente discende ed interviene ad operare intorno all’altare terreno, quando, per mano dei suoi ministri, il Sommo nostro Sacerdote, Cristo Gesù, offre al Padre il suo unico ed eterno Sacrificio in forma sacramentale.
Due sono quindi le problematiche da valutare:
1. L’abilità oggettiva del rito della Messa ad introdurre coloro che lo celebrano e vi partecipano ai misteri ineffabili ed invisibili che suscitano l’adorazione, la compunzione ed anche una certa letizia interiore, che può portare ad una legittima commozione suscitata dallo Spirito Santo (cfr. vita dei Santi). Dopo anni di esperienza celebrativa il novus ordo esige un’adeguata verifica in tal senso che compete a tutti i fedeli attenti e preparati, anche se soltanto l’autorità della Chiesa ha il potere di concreto intervento su eventuali emendamenti.
2. L’ars celebrandi dei sacerdoti, di ministri (accoliti, lettori, cantori, sacristi) e delle concrete assemblee locali, che conferisce ai riti e alle preci quell’unzione spirituale che dà il sapore sacro ed orante all’azione liturgica. Una musica perfetta può essere svilita da un pessimo suonatore; un ambiente nobile può essere profanato da comportamenti ignobili, ecc.
In tal senso si capisce il motivo per cui la Chiesa domanda a Dio di agire nel culto in modo «degno e competente» (digne et competenter). La «competenza» implica la conoscenza oggettiva delle leggi liturgiche e la loro fedele esecuzione, la «dignità» implica la corrispondenza esteriore dei gesti ed interiore dei pensieri alla sacralità delle azioni liturgiche.
La presenza del Cielo, che si apre e discende sull’altare terreno, e il moto ascendente della terra, che si eleva fino al cielo in comunione con l’altare celeste, sono espressi in modo del tutto singolare dalla presenza, nelle preci della Messa, degli Angeli, che scendono e salgono dal trono di Dio per portare agli uomini il lieto annunzio ed offrire alla maestà divina la risposta adorante e la preghiera incessante, che in unione alla vittima divina sale gradita al cospetto del Padre.
In qualche modo si attualizza quella visione del patriarca Giacobbe, che in Betel ebbe la visione della scala misteriosa, che dalla terra raggiungeva il cielo e gli angeli di Dio, che scendevano e salivano su di essa. Anche Gesù allude ad una simile visione quando disse: «Vedrete il cielo aperto e gli Angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo» (Gv 1, 47-51). Ebbene tutto questo avviene soprattutto nel momento della Consacrazione eucaristica, quando il Figlio di Dio penetra nelle altezze del cielo, portando la sua offerta di valore infinito davanti al Padre e al contempo scende su di noi, qui in terra, ogni grazia e benedizione celeste. L’elevazione eucaristica del rito romano esprime con una genialità insuperabile questo evento soprannaturale di ascesa e discesa mistica, che noi possiamo percepire soltanto attraverso i riti e i simboli della liturgia, intesi con l’intelligenza interiore della fede.
Questo gaudio mistico del mistero invisibile la tradizione occidentale-latina lo ha saputo esprimere in modo del tutto singolare, potente e mirabile, mediante le grandiose pale degli altari, che come una rigogliosa inflorescenza si ergono sopra la loro mensa con uno sviluppo incontenibile di colonne, capitelli e soprattutto di angeli e di santi, in modo da descrivere plasticamente col genio dell’arte il grande evento che, nascosto ai nostri occhi corporali, si compie in realtà nella sua dimensione soprannaturale sotto il velo umile del sacramento. Su tali altari, soprattutto dell’epoca barocca, il sacerdote sembra perdersi nell’immenso mare del mondo divino, proprio come affermano i nostri poeti: «E il naufragar me dolce in questo mare» (Leopardi) oppure «Mi illumino d’immenso» (Ungaretti). Questa percezione di ascesa e di entrata trepidante nell’aura celeste si sente in modo fisico quando il sacerdote ascende i grandini dell’altare maggiore classico e si avvicina gradualmente alla grandiosità dell’architettura monumentale e ne scorge da vicino la preziosità dei materiali e lo scintillio dell’oro, che illumina i suoi gesti liturgici e le parole sacramentali. In una simile ascesa i fedeli non sono estranei, ma, come era per il sommo sacerdote ebraico, essi entrano spiritualmente con lui nel Santo dei santi e, nell’ascesa sacerdotale, il loro cuore si innalza alle cose del cielo e il loro sguardo stupisce nel vederlo ascendere ed entrare in una cornice tanto solenne e bella. In realtà nel Sacrificio incruento dell’altare si attualizza continuamente, davanti al nostro sguardo, quell’ascesa definitiva del Signore, che si compì nella sua Ascensione e quell’entrata perenne nel santuario dei cieli, dove siede alla destra del Padre. Lo sguardo della Chiesa è continuamente ricondotto lì e ogni volta che viene offerto il Sacrificio eucaristico echeggiano con forza le parole dell’Apostolo (Col 3, 1-4):
Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.
Anche la liturgia orientale esprime con una intensità del tutto originale il mistero del cielo che scende sulla terra durante la divina liturgia, anzi con mezzi ancor più eloquenti della liturgia latina. Ora mentre nella Messa Romana lo scenario si apre sopra l’altare e s’innalza grandioso nella monumentalità della pala in modo che ispiri insieme la contemplazione del sacerdote e di tutto il popolo, nell’Oriente lo scenario si sviluppa davanti all’altare nell’iconostasi dorata, cha nasconde l’altare e i sacri ministri, i quali mentre agiscono all’interno di essa, realizzando i santi misteri, il popolo contempla nell’iconostasi stessa gli amici del cielo, angeli a santi, che concorrono con loro all’azione sacra. Due diversi modi per richiamare la presenza del Cielo: l’occidente espone i misteri elevandoli con solennità nella cornice grandiosa della pala che li descrive, li sovrasta e li esalta; l’oriente, invece, nasconde i ministri e i misteri sacramentali per suscitarne una maggior sacralità ed esponendo davanti all’assemblea dei fedeli le icone dei misteri stessi e degli invitati di rango, che intervengono nella divina liturgia: Maria Ss., gli Angeli e i Santi.