“Il mio parroco e altri sacerdoti non usano più la stola quando indossano la casula per la Messa. Egli dice che non ha senso un segno che non si vede. Da noi le stole delle pianete e delle casule sono tutte raccolte in un cassetto insieme ai vecchi manipoli, perché non servirebbero più. Cosa pensare?” (Un sacrista)
L’omissione della stola sotto la casula é un costume oggi diffuso e dibattuto. Occorre allora un ragionamento per impostare il problema. Infatti, oggi è necessaria una adeguata formazione teologica e liturgica, che offra i motivi che presiedono alle disposizioni rituali e sia in grado di suscitare una adesione convinta. Si deve distinguere tra abiti e insegne liturgiche. Gli abiti mirano a rivestire degnamente la persona del ministro, mentre le insegne dichiarano in modo più immediato il ministero di cui è investito e ne specificano i diversi gradi. Il camice (o la cotta sopra la talare), la casula, il piviale, la dalmatica e il velo omerale sono abiti liturgici. La stola, la mitra, il pastorale e il pallio sono insegne liturgiche. La stola quindi è l’insegna-base di tutti coloro che sono stati ‘segnati’ dal carattere dell’Ordine sacro: il Vescovo, il Presbitero e il Diacono. Essa è portata traversa dal Diacono e diritta dal Presbitero e dal Vescovo. Ora, mentre gli abiti variano a seconda del tipo di rito o in ragione della diversa solennità, la stola – sempre sopra il camice o la cotta (e mai sull’abito civile) – è assunta sempre, in ogni genere di celebrazione liturgica. Eliminare l’insegna propria del ministro ordinato è quindi impoverire certamente i ‘santi segni’e una novità assoluta rispetto alla tradizione secolare della Chiesa, orientale e occidentale. Anzi, nella tradizione antica romana, la stola degli ordinandi veniva deposta sull’altare durante la notte che precedeva l’ordinazione, quasi per impregnarla della preghiera della Chiesa e della grazia divina invocata sugli eletti. Tale costume perdura ancor oggi per il pallio dei metropoliti che viene depositato e conservato sotto l’altare della confessione nella basilica vaticana. Naturalmente il problema qui non è la stola per se stessa, ma il suo uso sotto la casula, quando ne rimane nascosta. In proposito pare che vi siano fondamentalmente tre ragioni per impostare una soluzione:
- La stola interessa prima di tutti il ministro che la indossa nel contesto della preparazione alla Messa in sagrestia. Purtroppo, oggi, sembra esserci una esclusiva attenzione a ciò che si deve comunicare agli altri e una accentuata trascuratezza, invece, per la partecipazione spirituale del ministro che si accinge a celebrare. Ne è testimone l’assenza del silenzio in sagrestia, l’assunzione solo funzionale e affrettata dei paramenti e l’eliminazione, talvolta totale, delle preci sacerdotali silenziose previste nel corso della Messa, per consentire l’unione personale del sacerdote al divin Sacrificio. Con questo sguardo esclusivamente rivolto all’assemblea, la stola coperta dalla casula potrebbe non aver senso. Ma lo acquista se diventa segno di rinnovata assunzione spirituale del ministero sacro ogni volta che ci si veste per la Messa. La stola ha allora valore innanzitutto per il vescovo, il sacerdote o per il diacono che, indossandola con atteggiamento sacro e senso di venerazione, possono riscoprire, di volta in volta, il dono ineffabile di essere costituiti, nel loro diverso grado, ministri del Sommo Sacerdote, Cristo Signore. Tale atteggiamento, ispirato a pietà e vera devozione, non potrà che edificare tutti coloro che in sagrestia assistono i ministri nella loro preparazione al divin Sacrificio.
- Nella tradizione classica la stola sotto la casula è sempre stata anche visibile, uscendo con i due pendenti anteriori e conferendo alla persona del sacerdote una notevole dignità. Si tratta allora di verificare quale cura e attenzione si riserva alla qualità degli abiti sacri. Certo se questi sono acquistati a buon mercato e la loro fattura è abbandonata all’iniziativa commerciale, non si può pretendere un effetto soddisfacente. Occorre una rinnovata attenzione agli abiti liturgici, che devono risplendere per nobile semplicità nella loro forma, per qualità nei tessuti scelti e per conformità simbolica a ciò che devono esprimere. Se la stola ritorna ad avere le sue dimensioni originali e la casula non coprirà i terminali della stola, il problema viene superato e i fedeli potranno contemplare nella proprietà dell’abito dei ministri il significato e il valore di ogni indumento sacro. Non è allora saggio percorrere delle scorciatoie, come l’omissione della stola sotto la casula o il portarla sopra di essa. Tali soluzioni complicano ulteriormente il problema, si rivelano precarie e aprono la strada alla manipolazione soggettiva dei riti.
- Infine, è necessario acquisire il senso della Liturgia come azione di Cristo e della Chiesa e non come un atto privato. Per questo nessuno,anche se sacerdote, può mutare, aggiungere o togliere elementi propri della liturgia stabilita dalla Chiesa ed edita nell’ ‘editio typica’ (Vaticano II, SC n. 22). Se viene meno questo principio si apre la strada della graduale adulterazione dei riti con elementi inventati – pur con le migliori intenzioni – da privati (sacerdoti, gruppi, ecc.). Ma allora la liturgia cessa di essere tale, perde la grazia di cui è portatrice e viene abbassata ad un intervento semplicemente umano. I fedeli poi, che hanno diritto di ricevere la liturgia della Chiesa, si troverebbero ad avere un prodotto (preci, simboli, riti, ecc.) di uomini, dove il soggetto soprannaturale – Cristo e la Chiesa – verrebbe sostituito dal debole soggetto del ‘noi’, che volta a volta crea il rito. Tale rispetto per la Liturgia si deve manifestare anche nelle piccole cose, altrimenti, trascurate queste, ci si trova, quasi insensibilmente, ad operare abusi di grande spessore, senza neppure rendersene conto.
Ecco allora che l’obbedienza alla Chiesa in materia liturgica mantiene sempre la massima importanza ed è fonte di merito. Mentre il cosciente o superficiale traviamento delle leggi liturgiche grava la coscienza di un ministro sacro in quanto custode dell’autentica ‘forma’ liturgica e costituisce materia di confessione per la grande responsabilità che vi è implicata verso Dio e il suo popolo.