Tre argomenti in favore di una Veglia pasquale incentrata sulla mezzanotte: motivo pratico, mistico e corale.
UNO STACCO NECESSARIO
Se la mezzanotte non è data come ora discriminante per la Veglia pasquale, si arriva alla prassi attuale, ispirata, si dice, a necessità pastorali. Ossia la Veglia è celebrata non più nella notte, ma all’ora della Messa festiva di vigilia o un po’ più tardi. Ma queste ore serali sono le normali ore dell’attività ordinaria al termine di ogni giorno: a quest’ora si va ad un concerto, ad una conferenza, ad uno spettacolo teatrale, ad una serata di vario genere. Questa allora non è propriamente la notte, ma la sera. La Veglia celebrata di sera viene privata di una sua componente essenziale: offrire a Dio il tempo del sonno, santificando la notte, mediante l’ascesi del ‘vegliare’. Ci domandiamo: la pastorale deve proprio sposare il ‘dogma’ della comodità a tutti i costi, rinunciando alla notte di Pasqua e alla notte di Natale, come attualmente sta succedendo? Che almeno nelle due notti sante, di Pasqua e Natale, non solo alcuni scelti – come i monaci, i religiosi o i laici impegnati -, ma tutto il popolo di Dio, nelle normali parrocchie, si disponga alla solenne celebrazione, vegliando nella notte e offrendo a Dio con generosità il tempo notturno, è veramente cosa pastoralmente impossibile e improponibile ai nostri giorni? Alla sera del Sabato santo il traffico è ancora intenso, il silenzio della notte lontano, vi è l’affanno della cena e il corpo si distende dopo la tensione del lavoro. I sacerdoti, stanchi per le confessioni – fin troppo concentrate nel pomeriggio del Sabato santo – non hanno neppure il tempo di un necessario stacco, che devono subito presiedere l’atto liturgico più impegnativo di tutto l’anno. I fedeli, trafelati nel trambusto festivo accorrono alla Veglia e domandano: “Padre, quanto durerà”? perché in realtà molti ricercano in essa la ‘messa prefestiva’ di Pasqua. E anche i parroci, assecondando talvolta queste richieste, tendono a semplificare alquanto il rito, riducendo le letture e velocizzando i riti per l’indisposizione dei fedeli, intenti ad assolvere semplicemente il ‘precetto’. Questa non può essere la Veglia pasquale! Se invece la Veglia è effettivamente verso la mezzanotte, i sacerdoti e i fedeli si possono sufficientemente distendere e, riabilitati nelle forze e vestiti a festa, celebrare con disposizioni migliori la santa Veglia. Questo stacco è già possibile sperimentarlo di più a Natale, almeno lì dove ancora si celebra a mezzanotte.
UN MOMENTO MISTICO E ATTESO
Il passaggio più singolare della Veglia pasquale, quando si canta il Gloria in excelsis e si riprende lo jubilus dell’Alleluia è spesso depotenziato: dopo una liturgia della Parola piuttosto breve, senza aver raggiunto un congruo clima di trepida attesa e, senza alcuno stacco rituale, si intona l’Inno angelico e si suonano le campane. Siamo lontani da quello stupore mistico e commosso di cui ci parlano le fonti antiche. È più eloquente la notte di Natale quando, a mezzanotte, si inizia la solenne eucaristia ‘in nocte’. Ma anche l’attesa frenetica del nuovo anno, nella notte di capodanno, produce una forte carica emotiva, suscitata da un preciso momento, lo scoccare della mezzanotte. Perché allora privare l’annunzio pasquale nella notte santa dell’esperienza di questa attesa fervorosa, che dà vigore e letizia spirituale all’annunzio della risurrezione, proprio al primo esordio del beato terzo giorno, quello in cui avvenne la risurrezione, il giorno ottavo che non avrà mai più tramonto? Questo non è sentimentalismo, ma ricchezza celebrativa, forza coesiva e testimonianza efficace. Se si vuole ridare alla Veglia pasquale il senso gioioso e commovente dell’attesa, occorre consentire che essa abbia il tempo necessario per impostare un itinerario progressivo verso un preciso termine, che in antico era il primo albeggiare del giorno della risurrezione e che oggi dovrebbe essere necessariamente lo scoccare della mezzanotte alla soglia della grande e santa Domenica di Pasqua. Dal momento che la liturgia si è arricchita in modo irreversibile della Messa solenne del giorno di Pasqua, e che questo giorno è ormai rivestito di regale e grande solennità, non è più auspicabile riproporre a tutto il popolo una Veglia che si estenda fino al mattino, come in antico per poi necessariamente ridurre la domenica di Pasqua a un giorno liturgicamente ‘vacante’. Ciò non sarebbe possibile, né per la grande affluenza di popolo che richiede le normali celebrazioni domenicali, né per i sacerdoti, tenuti alle molteplici celebrazioni e ai riti tipici del giorno di Pasqua. In questo contesto la mezzanotte dovrebbe ridiventare l’Ora da tutti accolta come discriminante tra le due parti della Veglia. Diversamente succede quello che attualmente si può constatare nelle varie ore serali del Sabato Santo: uno già ritorna dalla Veglia pasquale in una chiesa, mentre l’altro parte per la Veglia in un’altra chiesa. Povera Pasqua! Così è ridotta ad affare privato, persa nella routine del sabato sera. È migliore la grande cena che faremo sul tardi, tutti insieme!
UN ATTO CORALE E PUBBLICO
La celebrazione della Veglia, fatta all’unisono da tutte le comunità cristiane sul crinale della mezzanotte, offre un eccellente occasione per una testimonianza corale: la Chiesa, convocata nel cuore della notte santa, attende e annunzia la risurrezione del Signore. Questa coralità ha una profonda forza coesiva, alimenta la comunione della fede e crea il sentimento di un popolo unico e compatto nel dare al mondo l’annunzio che Cristo è Risorto. Una serie di veglie pasquali serali, in ore diverse, snerva e svilisce il senso comunitario del popolo di Dio e abbassa il tono dell’atto liturgico più solenne che la Chiesa possiede. La Chiesa, celebrando all’unisono la Veglia pasquale, invece, percepisce quasi fisicamente il suo essere un cuor solo e un’anima sola, soprattutto quando, a mezzanotte, acclama Cristo risorto e lo annunzia al mondo. Comunità, pur radunate in chiese diverse, ma simultanee nel celebrare la santa Veglia e insieme anelanti verso il giorno che Cristo inaugura con la sua risurrezione, interpretano egregiamente la bella espressione del salmo: Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! (salmo 132, 1). Per esprimere concretamente tale sinfonia, la mezzanotte diviene un criterio necessario e discriminante. In questo contesto , sarà possibile dare all’unisono anche l’annunzio pasquale al mondo esterno col suono delle campane. Infatti, una cosa è cogliere a malapena in diverse ore serali del sabato santo sporadici suoni di campane a seconda degli orari diversi delle Veglie nelle varie chiese – suoni che si perdono, soprattutto in città, nel tumulto di fine giornata – altro è udire chiaramente un unico suono concordato delle campane di tutta la città, o di tutta una valle, a mezzanotte, quando ormai l’ambiente è avvolto dal silenzio notturno e il loro suono può essere eloquente e disteso dovunque. Solo un scampanio così può diventare una efficace, significativa e pubblica testimonianza nella quiete della notte di Pasqua. È questione di organizzazione e di incisività. La Cattedrale, o la Chiesa maggiore, potrebbe guidare tutte le altre chiese e il suono dovrebbe essere alquanto prolungato. Ma, come si capisce, per realizzare un segno di tale forza, occorre un’ora precisa, la mezzanotte, l’ora più silente, più biblica, più poetica, più pratica, l’ora che, soprattutto, costituisce l’inizio del terzo giorno, il giorno della risurrezione.
Don Enrico Finotti