DON ENRICO FINOTTI
Il Concilio Vaticano II ha avuto il merito di condensare in una espressione lapidaria e ormai nota – per ritus et preces (SC 48) – l’intero complesso del diritto liturgico nelle sue due componenti essenziali: i riti e le orazioni, i gesti e le parole.
Il termine ritus, infatti, raccoglie una vastissima molteplicità di elementi propri del linguaggio simbolico: gesti, espressioni e movimenti; abiti, insegne, oggetti, simboli e libri; luoghi, edifici ed ambienti sacri; tempi, memorie, feste e solennità; ecc.
Il termine preces, si declina in un ventaglio amplissimo di modalità diverse del linguaggio verbale: orazioni, lezioni, didascalie e saluti; canti, acclamazioni, musiche e suoni; il sacro silenzio; ecc.
Non è marginale il collegamento tra l’espressione per ritus et preces e l’altra «con eventi e parole intimamente connessi» (DV 2). L’analogia afferma la continuità della storia della salvezza nell’oggi della celebrazione liturgica. Gli eventi, connessi alle parole con cui Dio operò fin dall’inizio nella storia della nostra Redenzione, continuano ancor oggi con la medesima modalità («con eventi e parole» – per ritus et preces) nei riti e nelle preci delle celebrazioni liturgiche della Chiesa.