LA LITURGIA DELLE ORE IN PARROCCHIA

 

A CURA DELLA REDAZIONE

Nelle lezioni formative per le guide liturgiche straordinarie,  il docente ha parlato con tanta insistenza sulla Liturgia delle Ore. Ma ci riesce alquanto difficile realizzarlo in comunità. O meglio, è partecipato in quei giorni nei quali è presente il parroco. Quando invece ci siamo noi come laici spesso ci si deve accontentare di recitarlo da soli. Andare avanti? Come?

E’ certo che la celebrazione della Liturgia delle Ore in parrocchia deve essere ben organizzata. Come? Costituendo un gruppo stabile per questo peculiare servizio. Come vi è il Consiglio pastorale, i catechisti, la corale, la charitas, ecc., così vi deve essere, non una generica commissione liturgica, che promuove la liturgia in generale, ma uno specifico gruppo addetto alla celebrazione regolare della Liturgia delle Ore. Inoltre, come ogni associazione parrocchiale è orientata al bene comune dell’intera comunità, così questo gruppo è costituito per tener viva la preghiera, non solo a nome dell’intera comunità locale, ma anche di tutta la Chiesa. Questo senso di rappresentanza impegna a realizzare un servizio liturgico aperto a tutti i fedeli, che intendessero partecipare, senza inconsistenti chiusure. Anzi deve il più possibile essere una forza di richiamo affinché un numero di fedeli il più possibile ampio partecipi all’Ufficio di lode.

QUALI RITI CATECUMENALI POSSONO ESSERE ASSUNTI NELL’INIZIAZIONE DEI FANCIULLI GIA’ BATTEZZATI?

 

A CURA DELLA REDAZIONE

Occorre distinguere con chiarezza tra i Catecumeni veri e propri, che ancora non sono stati battezzati, dai bambini già battezzati ai quali manca ancora la catechesi di iniziazione cristiana.

Questi non sono propriamente catecumeni, ma fedeli sotto ogni aspetto, in quanto già rigenerati nel battesimo. E’ altrettanto vero che ad essi manca la catechesi di base, che devono intraprendere appena subentra l’uso di ragione. La distinzione è opportunamente espressa dal Direttorio Generale per la catechesi che afferma: “Occorre, tuttavia, premettere che tra i catechizzandi e i catecumeni e tra catechesi post-battesimale e catechesi prebattesimale, che vengono rispettivamente loro impartite, vi è una differenza fondamentale. Essa proviene dai sacramenti di iniziazione ricevuti dai primi, i quali ‘sono già stati introdotti nella Chiesa e fatti figli di Dio per mezzo del battesimo”(1).

IL SIGNIFICATO DEI ‘SANTI SEGNI’ – seconda parte

A CURA DELLA REDAZIONE

  1. Quali sono le direzioni dello spazio celebrativo e l’origine simbolica di ognuna di esse?

Guardini esprime le tre dimensioni dello spazio con queste parole: “Lo spazio naturale ha delle direzioni: le tre che conosciamo. Esse indicano c’è spazio ordinato, non caos. Ordine del contiguo, del sovrapposto, del sottoposto”.

L’autore con brevi accenni raccoglie l’intero universo simbolico di tutta la tradizione religiosa dell’umanità e in particolare quella della liturgia della Chiesa. Ed ecco le tre direzioni liturgiche che orientano l’intera ritualità:

– l’edificio della chiesa è orientato da occidente a oriente. Essa guarda a Oriente per scorgere la venuta escatologica del Signore, ma anche per ricevere luce e calore da Colui che risorto e glorioso ormai riempie il tempo e adombra il pellegrinaggio terreno del suo popolo.

– Il santo Vangelo è proclamato dal diacono guardando a nord, la direzione del freddo. La parola evangelica parte dal calore del sud e mira a riscaldare con il fuoco della verità il gelido clima di quelle parti del mondo che gemono nei rigori del peccato e della morte. La direzione sud-nord è quella che ispira la posizione del vangelo sul corno sinistro dell’altare dove è annunziato guardando la parete nord della chiesa.

– Infine la direzione dall’alto al basso e viceversa. Si tratta dell’offerta che il sacerdote eleva in alto dove sta la divina maestà, oppure della benedizione che si abbassa per donare la grazie che scende dal trono di Dio. Sacrificio e sacramento stabiliscono l’anelito verso le altezze e la discesa della misericordia redentrice che ha nel sacramento la sua applicazione personale ad ogni fedele.

IL SIGNIFICATO DEI ‘SANTI SEGNI’ – prima parte

A CURA DELLA REDAZIONE

Si nota una crescente richiesta da parte dei fedeli di conoscere il significato dei ‘santi segni’ per poterli vivere con più frutto nella celebrazione liturgica. Abbiamo ritenuto quindi opportuno il ricorso ad un autore classico della mistagogia, che con brevità e semplicità di linguaggio ha saputo introdurre (mistagogia) i semplici e i colti nel significato spirituale dei simboli liturgici. Presentando alcune pagine del libro di Romano Guardini “I santi segni” [1] intendiamo rispondere ad alcuni tra i tanti interrogativi posti in diverse occasioni e modalità dai nostri buoni cristiani e fedeli lettori.

  1. Qual é il senso di questa avvertenza di Guardini sui gesti corporali: “procura che l’intimo tuo spirito coincida davvero con (…) [un] atteggiamento esteriore!”.

Il formalismo si configura nella separazione tra un atto esteriore e i sentimenti interiori corrispondenti, l’autenticità invece si realizza quando all’atto esteriore corrisponde in modo coerente il sentimento interiore. Al contempo vi è un reciproco influsso i gesti corporei stimolano e irrobustiscono i sentimenti interiori mentre i sentimenti interni rivestono di calore e tonificano gli stessi gesti esterni del corpo. Vi è quindi un beneficio reciproco e una circolarità che non può mai interrompersi. Senza questo servizio reciproco dei due interventi si cade o nel formalismo o nell’intimismo. La liturgia invece richiede la loro compresenza che sola crea l’autenticità. Guardini descrive bene il rapporto interiorità ed esteriorità nel gesto liturgico quando afferma: “Quando pieghi il ginocchio, non farlo né frettolosamente né sbadatamente. Dà all’atto tuo un’anima! Ma l’anima del tuo inginocchiarti sia che anche interiormente il cuore si pieghi davanti a Dio in profonda reverenza. Quando entri in chiesa o ne esci, oppure passi  davanti all’altare, piega il tuo ginocchio profondamente, lentamente…Ciò infatti è umiltà ed è verità e ogni volta farà bene all’anima tua” (p. 132).

IL ‘SACRUM’ LITURGICO

 

 A CURA DELLA REDAZIONE

9 maggio 2018

In passato i sacerdoti mostravano un rispetto sacro delle norme liturgiche e traspariva in loro il timore di non averle osservate in modo preciso. Questo loro esempio suscitava anche in noi fedeli i medesimi sentimenti e si stava in chiesa in silenzio e con devozione. Oggi non esiste più niente di questo. Va bene tutto e il suo contrario e qualora si dovessero fare delle osservazioni si è pure rimproverati (Un sacrista).

Questa situazione è il sintomo della caduta totale del diritto liturgico, che non risparmia gli edifici e i luoghi di culto; i ministri sacri nel loro abbigliamento, linguaggio e comportamento; i riti con le loro leggi, ritmi e simboli; ecc. Tutto è abbandonato ad uno spontaneismo senza freno, che viene pure ritenuto liberante e autentico. In realtà il sacrum liturgico viene sostituito fatalmente dal più gretto costume profano intessuto di secolarizzazione e di luoghi comuni propri della mentalità mondana e terrenista. Il collasso del soprannaturale è drammatico e il respiro dell’eterno è estinto. Il funzionalismo esasperato di una prassi sociologica travolge ogni prospettiva mistica e la salus animarum lascia il posto alla ‘promozione umanitaria’ di un mondo senza Dio e chiuso nell’orizzonte materiale.

Come uscire da questa situazione? Con una coraggiosa e precisa osservanza del diritto liturgico. Quando in un campo riarso la terra sterile non produce più niente se non sterpi, basta una copiosa irrigazione perché riprenda vita e la vegetazione diventi rigogliosa. Così se sul terreno sterile di una liturgia profanata e secolarizzata si riprende con determinazione ad osservare il diritto liturgico in ogni sua parte subito la celebrazione si rianima, si riveste di sacralità e trasmette con mirabile efficacia la Grazia divina. Il diritto liturgico, infatti, è il canale della grazia soprannaturale, che si riversa copiosa attraverso le mediazione dei riti e delle preci stabilite dal Signore e dalla sua Chiesa.

Allora quando i luoghi sacri saranno avvolti dal silenzio, i sacri ministri rivestiti con i loro nobili abiti liturgici, i riti svolti con gravità interiore ed esteriore, le preci elevate con solenne maestà, i canti e la musica ispirati alla verità e alla santità del dogma; quando ogni cosa sarà resa docile al diritto stabilito da Dio e conforme alla tradizione ricevuta dai Padri come parte sostanziale del depositum fidei; allora il popolo cristiano sarà rispettato nei suoi diritti di popolo sacerdotale e sarà condotto da pastori fedeli a risalire dalle cose visibili fino alla contemplazione di quelle eterne.

GLI ALTARI LATERALI

A CURA DELLA REDAZIONE

8 maggio 2018

 

“Gli altari laterali in genere sono ormai abbandonati. Molti di essi comunque hanno un grande valore e fanno parte della storia e dell’arte, ma, disadorni e nudi, sono ridotti a pezzi museali, muniti anche di accurate didascalie storico-artistiche. Domando: Hanno finito la loro funzione liturgica?”   Un parroco

Gli altari laterali delle chiese cattoliche hanno certamente una storia gloriosa e costituiscono un patrimonio di immenso valore teologico, spirituale e artistico. Di fatto, però, dopo il Concilio Vaticano II hanno subito i danni di una lettura riduttiva e imprecisa della normativa liturgica, che praticamente li ha del tutto esautorati dalle loro funzioni relegandoli, nel migliore dei casi, ad un ruolo museale. E’ allora necessario riprendere con serenità e sereità la giusta visione del problema. Gli altari laterali hanno origine fin dall’antichità, quando si trattò di ospitare nelle basiliche dell’Urbe i corpi dei Martiri, tolti dalle catacombe durante le razzie barbariche. Fu allora che la ‘statio’ ai loro sepolcri per celebrarvi il divin Sacrificio avvenne dentro la basilica stessa, lì dove il Martire aveva trovato la sua nuova e protetta tumulazione. Nel Medioevo poi, soprattutto nelle grandi Abbazie, l’erezione di molti altari laterali era richiesta per la celebrazione della Messa dei numerosi monaci, che, anche per la scomparsa della concelebrazione, dovevano celebrare individualmente. Tuttavia in questo sviluppo secolare la Chiesa non perse mai, né l’unicità dell’altare, mediante il primato e la dignità sempre riconosciuti all’altar maggiore; né l’ideale unicità del divin Sacrificio, mediante la Messa solenne domenicale nelle parrocchie e la Messa conventuale nei monasteri. La Chiesa d’Oriente, invece, non rinunciò mai al costume antico rigoroso di erigere un solo altare e celebrare un’unica Divina Liturgia. Alla luce della storia, quindi, dobbiamo riconoscere senza indugi l’identità e il valore degli altari laterali. Essi, infatti, si devono considerare sotto tre importanti aspetti: liturgico, spirituale, storico, artistico.

1. L’altare laterale mantiene intatta la sua funzione liturgica ed è alquanto dannoso trasmettere ai fedeli l’idea che l’insorgere degli altari laterali sia il segno di una fase decadente e scorretta dello sviluppo liturgico. Gli altari laterali celebrano con le splendide espressioni dell’arte i mirabili frutti dell’unico Sacrificio di Cristo: i Santi e le loro opere. La loro memoria eretta in connessione con l’altare afferma che dal Sacrificio di Cristo essi attinsero la grazia della loro santità e l’efficacia della loro testimonianza. Voler privare della mensa dell’altare tali monumenti è scardinarli teologicamente dalla loro sorgente divina. La molteplicità degli altari laterali è la manifestazione visiva del prisma infinito dei frutti dell’unico Altare e dell’unico Sacrificio, Cristo Gesù. Per questo gli altari laterali non possono essere museificati, ma devono restare vivi con tutte le insegne loro proprie. Recarsi processionalmente presso l’altare del Santo di cui si celebra la festa è un uso liturgico del tutto ammesso. Può essere sempre opportuno recarsi in processione per un atto di venerazione a conclusione della Messa celebrata sull’altar maggiore. In tal modo si vede come il ruolo liturgico degli altari laterali non sia abrogato, ma possibile e arricchente. Certo in tutto ciò occorre sempre intelligenza, misura e buon gusto, per non decadere in forme devozionali eccessive, che minerebbero l’equilibrio della fede e della liturgia, non raramente condannate dalla Chiesa lungo i secoli.

2. L’altare laterale è luogo di orazione e di contemplazione. Presso di esso i fedeli entrano in comunione spirituale con la Vergine e i Santi. Per questo gli altari non possono essere lasciati desolati, senza calore e senza vita. Essi devono portare i segni della devozione: ceri, fiori, ecc. Certo senza indulgere al cattivo gusto, che si ritorcerebbe contro una buona educazione alla vera devozione. Per questo non si può abbandonare l’addobbo dell’altare a chiunque, ma deve essere costantemente monitorato da un pastore vigilante che cura veramente l’educazione alla pietà autentica dei fedeli. Ma al contempo una drastica museificazione priva totalmente gli altari laterali della loro vita, li rende estranei ai fedeli e li debilita nel loro ruolo di mediazione spirituale.

3. Infine gli altari laterali sono spesso dei capolavori d’arte. Essi vanno rispettati e tutelati. Sono un patrimonio non solo della Chiesa, ma dell’intera società. Si deve evitare abusi gravissimi, ben conosciuti in un recente passato: rimozione degli altari laterali in nome dell’unicità dell’altarmaggiore; privazione della loro mensa o della predella marmorea, rendendoli mutili e inaccessibili; alienazioni delle loro croci e dei loro candelabri e di altri arredi talvolta veramente artistici e preziosi, ecc. Per quel che riguarda la costruzione delle nuove chiese il Messale ricorda “Nelle nuove chiese si costruisca un solo altare che significhi alla comunità dei fedeli l’unico Cristo e l’unica Eucaristia della Chiesa” (OGMR, 303). Naturalmente tale disposizione non esclude che vi siano altre cappelle, collegate e distinte dalla navata della chiesa, nelle quali possono essere eretti altri altari, ben definiti nella loro posizione e nel loro uso liturgico. E’ il caso della cappella feriale o quella del SS. Sacramento o di una insigne reliquia di un Santo, ecc.. Come si vede, forse è necessario ripensare alquanto l’operato dell’immediato postconcilio e, su basi teologiche, spirituali e culturali migliori e più solide intraprendere un’opera di risanamento e di maggior equilibrio, per l’edificazione del popolo di Dio.

ALCUNE CONSIDERAZIONI RIGUARDO AL RUOLO DELLA GUIDA LITURGICA STRAORDINARIA

A cura della Redazione

7 maggio 2018

Molti operatori liturgici chiedono spiegazioni sul loro ruolo di guida nell’azione liturgica in assenza del presbitero e riguardo al luogo che devono occupare nella celebrazione.

La domanda si presta ad una risposta più ampia in ordine alla presidenza dei vari ministri secondo la loro identità teologica.

1.  Il vescovo usa la cattedra soltanto per presiedere la liturgia, normalmente rivestito degli abiti pontificali. Quando, invece, assiste ad una celebrazione non sta alla cattedra, ma, indossando l’abito corale, si pone in un seggio diverso appositamente predisposto:“Qualora il vescovo non presieda nel modo più sopra descritto (CE 175-185), partecipi alla messa rivestito di mozzetta e rocchetto, tuttavia non alla cattedra, ma in un luogo più adatto per lui preparato” (CE 186).

La norma evidenzia l’alta considerazione che la tradizione liturgica riserva alla cattedra e quanto sia importante la tutela del suo simbolismo: il vescovo per primo è chiamato ad avere un particolare rispetto verso il luogo nel quale esercita il suo magistero e ad usarlo con competenza e venerazione.

2.  In analogia col vescovo anche il presbitero deve usare la sede nel modo dovuto e nei riti stabiliti, alimentando innanzitutto in se stesso il senso sacro della sede e curando che tale luogo sia adeguato e circondato di rispetto.

3.  Il diacono: Quando il diacono presiede la celebrazione, si comporta nei modi richiesti dal suo ministero, nei saluti, nelle orazioni, nella lettura del Vangelo e nella omelia, nella distribuzione della comunione e nel congedo dei partecipanti con la benedizione. Egli indossa le vesti proprie del suo ministero, e cioè il camice con la stola, e secondo l’opportunità, la dalmatica, e usa la sede presidenziale (Christi ecclesia, 38).

Al diacono, in assenza del presbitero, è concesso l’uso della sede presidenziale in quanto è investito del sacramento dell’Ordine e perciò sta davanti all’assemblea liturgica sul versante dei ministri ordinati, che hanno il compito di presiedere la preghiera pubblica e comune della Chiesa. Su questa base anche per il diacono, come per il presbitero, si usa il termine presiedere. Al contempo si deve dire che se il diacono è insignito della dignità del primo grado dell’Ordine sacro, non agisce tuttavia in persona Christi capitis. In tale prospettiva l’uso della sede presidenziale da parte del diacono potrebbe costituire un tema di dibattito: come in cattedrale il presbitero non usa la cattedra, riservata unicamente al vescovo, così il diacono non dovrebbe usare la sede, riservata al presbitero e guidare invece la celebrazione dal suo seggio  nel presbiterio.

4.  Le molte comunità ormai senza un servizio liturgico quotidiano a causa dell’assenza del ministro ordinato si impegnano lodevolmente a celebrare alcuni atti liturgici e pii esercizi con la guida di religiosi e laici a ciò preparati. La normativa è adeguatamente descritta nel Direttorio sulle celebrazioni domenicali in assenza del presbitero (Christi ecclesia):

Il laico che guida i presenti si comporta come uno tra uguali, come avviene nella liturgia delle ore, quando non presiede il ministro ordinato, e nelle benedizioni, quando il ministro è laico (“Il Signore ci benedica…”, “Benediciamo il Signore…”). Non deve usare le parole riservate al presbitero o al diacono, e deve tralasciare quei riti, che in un modo assai diretto, richiamano la messa, ad es. : i saluti, soprattutto “Il Signore sia con voi” e la forma di congedo che farebbe apparire il laico moderatore come un ministro sacro.

Porti una veste che non sia disdicevole a questo ufficio, o porti la veste eventualmente stabilita dal vescovo. Non deve usare la sede presidenziale, ma venga piuttosto preparata un’altra sede fuori del presbiterio. L’altare, che è la mensa del sacrificio e del convito pasquale, sia usato solamente per deporvi il pane consacrato prima della distribuzione dell’eucaristia (Christi ecclesia, 39-40).

Il laico (o religioso/a) quindi non presiede, ma guida l’azione liturgica e si comporta come uno tra uguali. Ciò deve chiaramente risultare dalle formule usate e da un seggio che viene predisposto fuori dal presbiterio: il presbiterio è infatti riservato ai ministri ordinati, così come la sede presidenziale: In mancanza del sacerdote o del diacono, colui che presiede l’Ufficio è soltanto uno tra uguali; non entra in presbiterio, non saluta, né benedice il popolo (PNLO 258).